LA FORTUNA NOSTRA E DEL GIORNALE E’ AVERE GIANVINCENZO D’ANDREA

di Luigi Liberatore – Io personalmente ho avuto la buona ventura di conoscerlo tanti anni fa. E di quegli incontri conservo di lui ricordi piacevoli e istruttivi, sia come politico (e allora il termine aveva un significato) sia come primario del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Sulmona. Oddio, adesso del primario si da pure a chi tiene in piedi un ambulatorio, ma allora era diverso. E siccome il corteo dei ricordi si fa pressante, dico che a quei tempi il nosocomio peligno vantava medici come Spigliati, Spennati, Giammarco, Caravelli, e appunto D’Andrea. Spero di fare breccia nell’animo di più generazioni con questa carrellata, ma chi fa breccia in chi come me abbia superato diversi steccati e in quelli che si apprestano a superarli è lui, Gianvincenzo D’Andrea. No, la sua sensibilità lo ha allontanato dalla politica, quella che adesso arruola senza ritegno dei perfetti analfabeti, e purtroppo l’anagrafe lo ha tolto anche dalla corsia del suo ospedale, ma la sua intelligenza ce lo ha restituito come comunicatore scientifico. La fortuna di ReteAbruzzo (e non solo del nostro giornale), è di averlo da qualche anno come punto di riferimento in materia di sanità collettiva in un momento davvero delicato con la pandemia in atto. I suoi messaggi, le sue raccomandazioni soprattutto comportamentali, frutto di una personale solidità scientifica in linea con le avanzate acquisizioni della medicina, sono arrivati nelle case degli abruzzesi in maniera discreta e convincente. Il suo linguaggio ci ha fatto capire la differenza che esiste tra le notizie fasulle che girano in rete a fiumi e la verità scientifica sul Covid e l’importanza soprattutto della vaccinazione. Io mi sento di dire che questo giornale per cui scrivo ha nel professor Gianvincenzo D’Andrea un punto di riferimento eccezionale, un professionista che possiede un dono unico come comunicatore: la delicatezza di rendere familiare e accessibile l’impatto con la medicina che quasi tutti i colleghi rendono oscuro e pauroso perfino con una grafia inestricabile che pure un maestro elementare boccerebbe.