I MOSTRI CHE SOGNAVANO I LEONI

di Massimo Di Paolo – Si chiama “Mostri”. O meglio s’intitola “Mostri” il libro di Claire Dederer una scrittrice e giornalista del New York Times che nel 2017, mentre si andava affermando il movimento #MeToo, pubblica un articolo su Paris Review che scatena una bagarre di commenti, osservazioni, contrapposizioni su una tematica che, ricomposta e approfondita, diventa libro. Narra delle vite, delle opere ma soprattutto delle contraddizioni, che hanno caratterizzato gli stili di vita di uomini e donne  diventati poi artisti e geni in campi espressivi diversi. Da Woody Allen a Michael Jackson passando per Picasso, Roman Poloanski, Miles Davis, Virgilia Woolf e altri ancora.

Una foresta di personaggi celebri che si incrociano con vizi, distonie, anedonie della loro vita quotidiana a cui devono molto: la loro irrequietezza, le loro nevrosi, le loro depressioni che hanno fecondato produttività artistica e talento. Passandola per Lacan: i nevrotici creano il mondo, gli altri se lo godono. Quali contraddizioni? Ampia la scelta, il parterre si compone di stupratori, alcolisti, razzisti, sciupafemmine: mostri appunto, che convivono con parti di sé separate, difficilmente gestibili, irrequiete, sfuggenti e spesso violente. Claire pone un interrogativo nel libro: si deve o non si deve, si può o non si può, distinguere le opere dalla vita dei “Mostri”? Possiamo amare le Opere assolvendo dalle malefatte chi le ha commesse? Possiamo restare appassionati della musica di Wagner pur avendo espresso affermazioni antisemite, pur avendo scritto “Il giudaismo nella musica”? E che ne pensiamo di Roman che stuprava mentre Polanski produceva film capolavoro? Da leggere senza annoiarsi, per curiosità, per divagazioni, per la verve, per le risposte mai  soddisfacenti. Utile per mettere brio a cene con amici o a epifanie di routine aprendo discussioni, dibattiti e scazzottate per gli opposti da difendere.

A questo punto si impone per “Libri & Visioni” la scelta del personaggio su cui dialogare. Non me ne vogliano le donne, femministe o meno, se sarò di parte ma Ernest mi è sempre piaciuto.

Bevitore, testosteronico e sciupafemmine le colpe di Hemingway, secondo alcuni. Per molti altri coraggioso e di parte nelle guerre civili, in Spagna come a Cuba; profondo per ricchezza e sensibilità. Romantico, ancora di più sotto pressione: con la natura, l’impresa, la caccia nutriva il suo romanticismo. Ma fu soprattutto scrittore tra i più influenti del Novecento, Nobel per la letteratura nel ’54, premio Pulitzer nel ’53,  ossessionato dal metodo, amato molto e imitato altrettanto.  Less is more il suo dramma, la sua perseveranza, il riassunto del suo stile.

Si narra che una sera fu sfidato da altri scrittori. Bisognava scrivere un romanzo in sette parole. Ernest scrisse: “In vendita: scarpe da bimbo, mai usate.” La vinse la scommessa. E allora: per una bella lettura, in solitaria o in coppia, vogliamo aggiungere di Matteo Nucci “Sognava i leoni” – l’eroismo fragile di Ernest Hemingway – HarperCollins Editore. L’ultimo che parla di Ernest. Bello assai per tutti. Alle femministe che forse non riusciranno ad essere d’accordo vogliamo suggerire di perdonare.  Tra le tante cose è riuscito a capire e a descrivere il ruolo decisivo della pietà umana.

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