LA NOSTRA GUERRA FREDDA

di Alessandro Lavalle

Sin dalla generazione ante litteram tra la prole e il genitore c’è stato e sempre ci sarà un conflitto, che sia di ideali, metodi o anche solo di comprensione.

Questa distanza viene vissuta da molti come un ostacolo insormontabile, uno scoglio su cui tutti naufragano una volta arrivati nell’età adolescenziale: un’età dove muta radicalmente la visione che abbiamo dei genitori, indipendentemente da quella che avevamo di loro nel periodo di preadolescenza.

Siamo in linea di massima abituati dalla nascita a mistificare, in concordanza con i loro meriti, i genitori: le persone che si sono e si prenderanno sempre cura di noi, persone che ci conoscono meglio di chiunque altro, persone che faranno di tutto per farci sorridere, per darci il meglio; decidono, ampiamente giustificati dalla loro esperienza, al nostro posto per un periodo di tempo indeterminato attendendo, alcuni con riluttanza, che arrivi il momento in cui possiamo decidere per noi stessi; il periodo di transizione dalla protezione familiare alla emancipazione della maturità si traduce con l’adolescenza: una fase in cui, tralasciando casi eccezionali di maturità precoce, crediamo di avere abbastanza esperienza del mondo per prendere da noi anche le decisioni più difficili; un periodo estremamente importante che plasma sia nella mente che nel corpo i giovani, un periodo dove si perde quella mistificazione dei genitori.

Questa transizione, come credo di aver fatto ben intendere, non sempre è di natura pacifica tra il genitore e prole: i ruoli e le impressioni che l’uno ha dell’altra mutano inevitabilmente e tal volta diventano perfino di grottesca natura; dalla parte dei genitori si ha una certa punta di superiorità nel giudicare la fase che stanno trascorrendo i loro figli: vista la loro precedente esperienza con i meandri dell’adolescenza tendono a sottovalutare o peggio minimizzare i loro problemi e dubbi; mentre dalla parte dei figli vi è una totale perdita di fiducia nella capacità di relazionarsi con i genitori, si vede il genitore quasi come un nemico da temere, una persona a cui non si può rivelare nulla sia per paura del suo giudizio che per la sfiducia nelle sue capacità di dare un sostanziale aiuto. Si instaura un circolo vizioso di silenzio e pregiudizio da cui non si uscirà se non prima della fine dell’adolescenza. Lasciare andare la cosa per suo conto potrebbe, però, generare effetti collaterali, forse permanenti, da entrambe le parti.

Il modo più efficace e forse anche l’unico per uscire da questa situazione indenni è il dialogo.

Può sembrare una cosa superficiale e risaputa eppure non viene quasi mai applicata; si preferisce arroccarsi, sia dalla parte del genitore che del figlio, nei propri punti di vista chiudendo sempre di più la mente a nuove idee ed opinioni. Durante questo periodo di “guerra fredda” familiare il dialogo può risultare un passo estremamente arduo e dispendioso poiché rivela la sua efficacia solo man mano che lo si usa.

Bisogna mettere da parte giudizi passivo-aggressivi e “sermoni della domenica”, per ritrovare quella conversazione piacevole ed aperta: dalla parte dei parenti ci deve essere una totale fiducia nelle capacità risolutive del proprio figlio ed una non poca propensione alla comprensione priva di pregiudizi; dalla parte dei figli ci deve essere una eguale dose di fiducia e una considerevole quantità di coraggio perché bisogna non avere paura di esprimersi per ciò che si è.

Solo grazie al dialogo ogni conflitto può dirsi propriamente risolto: la parola è la vera ed unica arma dell’uomo.

Questo conflitto non fa eccezione.