TUTTI PROSCIOLTI I COSTRUTTORI SULMONESI FINITI SOTTO ACCUSA PER L’APPALTO DI PALAZZO COMBATTENTI DELLA FONDAZIONE CARISPAQ

d’appalto per la ristrutturazione post-sisma del palazzo dei Combattenti dell’Aquila di proprietà della Fondazione Carispaq. In sede di udienza preliminare sono stati tutti prosciolti perché il fatto non sussiste. A finire nel mirino dei carabinieri del reparto operativo dell’Aquila e del sostituto procuratore Simonetta Ciccarelli, un dipendente della Fondazione, il sulmonese Roberto Piccone, e i costruttori Panfilo Di Meo, Francesco Salvatore, anche loro di Sulmona, Massimo Di Donato di Teramo e Giancarlo Di Bartolomeo di Giulianova. Nello specifico secondo la procura del tribunale dell’Aquila la ditta di Salvatore e Di Meo e la Meg srl, dei due teramani avrebbero ottenuto da Roberto Piccone, in violazione dei doveri di riservatezza e segretezza del suo incarico, i criteri di valutazione delle offerte ed attribuzione dei punteggi che sarebbero stati adottati nella gara. Notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, tanto da creare un vantaggio a discapito delle altre ditte alle quali era stato inoltrato l’invito a partecipare alla gara d’appalto. Insomma secondo l’accusa il dipendente della Fondazione Carispaq avrebbe posto in essere delle collusioni, sostituendo una scheda, modificando in aumento il punteggio e concordando con le stesse ditte criteri di valutazione e punteggi delle offerte pervenute, informandole del punteggio del racing Ufficio speciale per la ricostruzione (Usra) indicato dalle ditte partecipanti e coadiuvandole bella predisposizione della successiva offerta in modo tale da calibrare la misura del rating e dello sconto percentuale sulle opere nella misura minima necessaria a consegnare il massimo punteggio attribuibile. Accuse che però il sostituto procuratore Simonetta Ciccarelli non è riuscita a dimostrare davanti al giudice Giuseppe Romano Gargarella, il quale dopo aver ascoltato le parti ha deciso di prosciogliere tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. “Un’accusa totalmente infondata”afferma il difensore di Francesco Salvatore e Panfilo Di Meo, l’avvocato Alessandro Margiotta, “sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista giuridico perché, se pur la ditta avesse ricevuta informazione, cosa che non è accaduta, secondo la norma non sarebbe punibile perché ricevente il presunto segreto”.