SULMONA, LA SCUOLA

Pubblichiamo una lettera a firma del professor Mario Setta, studioso sulmonese, che dipinge un quadro della scuola a Sulmona.

Lunedì 14 settembre, riapre la scuola. E riaprono le questioni mai chiuse. Forse perché le questioni hanno la finalità di restare sempre aperte. La questione “scuola” è per se stessa questione aperta.
Una scuola che voglia essere tale(“skolé”, in greco, significa “divertimento, sollievo dello spirito”; “otium” latino) deve spalancare al mondo porte e finestre. Identificarsi e aprirsi alla società. Karl Popper, il filosofo della “società aperta”, ha esposto la dialettica tra due modelli di scuola: quella diTalete e quella di Pitagora. Le primissime scuole. La scuola di Talete era scuola aperta. Scuola di libertà. Talete, infatti, incoraggiava la critica nei suoi confronti, tanto che gli allievi potevano liberamente sostenere idee diverse dalle sue.
Nella scuola di Pitagora, invece, prevaleva l’insegnamento fondato sull’autorità indiscussa del maestro, venerato come un dio, discendente da Apollo, dotato di poteri taumaturgici. A lui si alludeva come all’autòs efe (ipse dixit) e chi pensava diversamente veniva dichiarato eretico, espulso, perfino assassinato. Come, si racconta, sia accaduto a Ippaso di Metaponto che, divulgando la scoperta degli incommensurabili (√2), minava tutta l’impalcatura dell’ arché di Pitagora.
Oggi siamo alla “buona scuola”, una aggettivazione di stile propagandistico che presupporrebbe una “cattiva scuola”, mentre la scuola, come tale, non può che essere un servizio per l’elevazione della persona umana.
Non sappiamo se la “scuola renziana” otterrà gli effetti di migliorare la società italiana, ma sappiamo che in Italia ogni sforzo politico resta vano, se non vengono coinvolti gli attori in grado di contribuire ad attuare lo spirito e la lettera delle riforme. Ed è qui che si gioca la speranza per un futuro migliore.

A guardare la scuola sulmonese si rimane perplessi. Se la scuola è lo specchio della società, la scuola sulmonese ne è la perfetta immagine. Un po’ scialba e scoraggiante, come la città. Una città che dovrebbe e potrebbe essere “metropoli della cultura” per il patrimonio storico-letterario che possiede, ma è sempre stata una città divisa, frammentata, vittima di faide interne. Dove ognuno ne sa sempre più degli altri, ignorando l’ignoranza socratica. E dove tutto viene deciso da fuori. Mai uno slancio verso l’alto, ma sempre rinchiusa nelle beghe cittadine e campanilistiche, governata da personalità di strette vedute.

A tutti i livelli: da quello politico a quello intellettuale, da quello economico a quello turistico-culturale. Una divisione che fa di Sulmona la città delle contraddizioni. Un medioevo che resiste non solo nell’architettura, ma anche nella mentalità. È curioso rilevare come proprio una manifestazione, riesumata dal passato, la “giostra cavalleresca”, riesca a coinvolgere quasi totalmente la cittadinanza sulla base di una contesa sportiva tra borghi e sestieri.

Per questo anche la scuola sulmonese è lacerata, disarmonica, in un contesto culturalmente asfittico e in cui la pubblica amministrazione risulta completamente assente. La separazione burocratica della scuola superiore nei due poli (classico-umanistico e tecnico-scientifico), diventa anche separazione di ruoli e di spazi culturali. A svantaggio di un servizio per l’intera città, perché oggi la cultura è globale, non riducibile a scompartimenti. Pur vivendo un tempo di altissima specializzazione, è anche un tempo di panoramiche culturali a vasto raggio. Per questo motivo i poli scolastici dovrebbero essere pianeti che ruotano intorno all’astro della Cultura, senza scadere in rivendicazioni egemoniche, competizioni da prime classi o grotteschi tatticismi per accaparrare studenti-clienti. L’occasione del bimillenario della morte di Ovidio, simbolo per eccellenza di sulmonese cittadino del mondo, potrebbe essere elemento di unità e di stimolo per tutti gli studenti e l’intera città alla conoscenza della sua vita e della sua opera.

La storia sulmonese offre un materiale sorprendente da riscoprire e valorizzare. Ecco perché nei due poli scolastici si ritrovano due manifestazioni di grande rilievo culturale a carattere internazionale, che non solo fanno onore alla città, ma ne presentano concretamente l’immagine di “città della cultura”. Si tratta del “Certamen Ovidianum” per il polo classico, una prova di esercitazione latina aperta agli studenti di varie nazionalità, giunta alla XVI edizione e la XV edizione del “Freedom Trail/Sentiero della Libertà” per il polo tecnico-scientifico, una Marcia Internazionale che ripercorre il cammino dei prigionieri di guerra alleati durante la seconda guerra mondiale. Manifestazioni di alto valore culturale e formativo, strettamente legate all’istituzione scolastica e di cui la città non può che trarne prestigio, anche se purtroppo restano iniziative isolate. La classe dirigente sembra piuttosto neghittosa e assente, mentre la cultura è stata e continua ad essere opera di istituzioni scolastiche, associazioni, singole personalità, ecc. Intorno al “caso Ovidio” si potrebbe aggregare l’intera città, proponendo letture, convegni, studi, concorsi per studenti, mostre, ecc.
Una città per Ovidio, come Costanza, l’antica Tomis, dove fu relegato e morì. Personaggio al quale è intitolata l’università, la piazza con la sua statua uguale a quella di piazza XX settembre, e tanti luoghi che ne evocano la memoria. Insomma, a Costanza, Ovidio è un personaggio conosciuto, studiato, amato. Lo stesso Ovidio ne ha la sensazione, quando, nelle“Epistulae ex Ponto” scrive:

“Hoc facit, ut misero faveant adsintque Tomitae,
haec quoniam tellus testificanda mihi est”
(Questo fa sì che a me misero gli abitanti di Tomi mi appoggiano e mi sono vicini/
perché questa terra è chiamata a darmi testimonianza).
E li ringrazia, come fossero concittadini peligni, che lo stanno aiutando:
“Molliter a vobis mea sors excepta, Tomitae…
Gens mea, Paeligni, regioque domestica, Sulmo,
non potuit nostris lenior esse malis”.
(Da voi, la mia sorte è stata accolta con dolcezza, Tomitani…
La mia gente, i Peligni, e la mia terra di casa, Sulmona, 
non poteva essere più dolce per i miei mali).

Mario Setta