LO CHEF STATUNITENSE FRATTAROLI INCONTRA IL SENATORE RAZZI PER NUOVI PROGETTI TRA ABRUZZO E MASSACHUSSETTS

In una conviviale che si è tenuta a Popoli, da Magnozz, il noto ristorante all’imbocco della Gola dei Tre Monti, c’è stato un importante incontro tra il senatore Antonio Razzi, reduce dal funerale di Silvio Berlusconi, e lo chef italoamericano Filippo Frattaroli. Nel corso della serata alla quale sono intervenuti anche altri imprenditori di Pratola Peligna e di Sulmona, i due hanno parlato di possibili progetti da portare avanti tra l’Abruzzo e il Massachusetts, soprattutto nel campo dei giovani chef italiani che vogliono fare esperienze lavorative negli Stati Uniti, portando la cucina del territorio e dell’Abruzzo nei ristoranti americani. Dallo chef Frattaroli che si è detto entusiasta dell’iniziativa, è arrivato anche un importante suggerimento: inserire nelle scuole alberghiere abruzzesi, la lingua inglese, in modo che i futuri chef siano già pronti per affrontare le esperienze lavorative anche fuori dall’Italia, visto che ormai la lingua internazionale è proprio l’inglese.

da sinistra l’imprenditore edile Luan Hallulli, Filippo Frattaroli,Antonio Razzi e Carmine Palazzone

“È molto importante che i ragazzi capiscano l’inglese e possano così spiegare a chi hanno di fronte e ai clienti, quello che hanno cucinato e come lo hanno cucinato”, afferma Frattaroli, “purtroppo qui in Abruzzo ancora comprendono l’importanza di questo particolare che, è fondamentale soprattutto quando si parla di alta cucina o di cucina del territorio, in questo caso abruzzese”. Entusiasta dell’iniziativa anche il senatore Razzi, da sempre molto vicino agli interscambi tra l’Italia e gli Italian che vivono all’estero. “Lo chef Frattaroli è l’esempio di come da semplici emigranti con la classica valigia di cartone, si possa diventare, grazie alle proprie capacità, imprenditori di successo. L’America e in particolare gli Stati Uniti offrono questa possibilità e i ragazzi che hanno voglia di fare nuove esperienze, devono saperla cogliere. A noi tocca solo prepararli al meglio per un futuro ricco di successi e di soddisfazioni”. Nel corso della serata gli ospiti hanno potuto gustare i tagliolini al sugo con le polpettone di agnello e i carrati alla Magnozz, due piatti pluripremiati apprezzati anche da Razzi e Frattaroli. La chiusura è stata fatta con i dolci delle Pasticcerie Palazzone, da anni una garanzia in questo particolare campo della ristorazione. La serata si è conclusa con la promessa di rivedersi a giorni per stilare un programma operativo che possa coinvolgere nel progetto anche le scuole della ristorazione della regione per arrivare appunto a favorire la conoscenza della cucina del territorio, nei grandi centri dell’America del Nord.

One thought on “LO CHEF STATUNITENSE FRATTAROLI INCONTRA IL SENATORE RAZZI PER NUOVI PROGETTI TRA ABRUZZO E MASSACHUSSETTS

  • Quando eravamo gli immigrati di ieri, brutti, sporchi e cattivi. Il giornalista Stella ripercorre attraverso documentazioni e reperti delle varie epoche l’emigrazione di tanti nostri compatrioti, come erano percepiti e trattati dai Paesi “ospitanti”. Era l’orda, solo paragonabile agli Unni, quella che sbarcava negli U.S.A.

    Arcangela Cammalleri
    Arcangela Cammalleri
    Pubblicato il 24-12-2009
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    L’orda. Quando gli Albanesi eravamo noi
    L’orda. Quando gli Albanesi eravamo noi

    Autore: Gian Antonio Stella
    Genere: Politica ed economia
    Categoria: Saggistica

    Quarta di copertina: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini.” Max Frisch

    Durante le grandi ondate migratorie dall’Ottocento in poi, tanti Italiani, moltissimi, emigrarono in America, in Australia e in Europa (Francia, Svizzera, Germania, Belgio…) e divennero immigrati, stranieri mal sopportati e, quasi fino a tempi recenti (anni ’70) disprezzati. Il giornalista Stella ripercorre attraverso documentazioni e reperti delle varie epoche l’emigrazione di tanti nostri compatrioti, come erano percepiti e trattati dai Paesi “ospitanti”.

    “La feccia del pianeta”: questo eravamo, o meglio, così eravamo visti. Bel paese, brutta gente. La differenza tra gli emigrati di oggi in Italia e noi all’estero è solo temporale, noi abbiamo vissuto l’esperienza prima, loro dopo, ma gli stessi pregiudizi, gli stessi stereotipi ci accostano per ostilità e diffidenze simili. Oggi si sputa su quelli come noi eravamo o siamo stati. Nell’introduzione del libro è racchiuso il senso del titolo e di tutto il contenuto del medesimo. Negli States del Sud eravamo catalogati non visibilmente negri, sporchi e verrebbe da scrivere brutti e cattivi parafrasando il titolo di un arcinoto film. Essere accusati di qualsiasi misfatto raccapricciante, di qualsiasi losco malaffare, essere qualificati come mafiosi, facili alle risse a all’uso del coltello erano inevitabili conseguenze. Quanti Italiani furono percossi, ingiuriati, arrestati e uccisi solo perché crumiri o perché eravano tutti siciliani. Era l’orda, solo paragonabile agli Unni, quella che sbarcava negli U.S.A. “La discarica senza legge”: l’invasione giornaliera dei nuovi immigrati direttamente dai bassifondi d’Europa, così eravamo raffigurati in una illustrazione del Judge, 6 giugno 1903, tanti sorci bollati come anarchici, mafiosi…mentre campeggia la scritta: Occhio zio Sam: sbarcano i sorci!
    Non avevano nome i nostri bisnonni, nonni emigranti, ma solo appellativi, nomignoli sprezzanti ed insultanti. Per i paesi anglosassoni eravamo i Dagger, da coltello, popolo dello stiletto, facile da usare come per mangiare e come per uccidere. Per gli Australiani i Ding, il cane selvatico. Per gli Argentini tutti Napoletani, per i Francesi, Français de Coni (Cuneo). In dialetto svizzero-tedesco Cinquaioli, dal grido cinq nel gioco della morra. Una sfilza di definizioni senza fine: Uàp (Guappi), Cristos (bestemmiatori), Chianti (ubriaconi), Greaseball, non tanto per la brillantina in testa quanto per le teste unte e grasse. Sul Cronicle di San Francisco 1904: al di sotto del 45° parallelo sono tutti malfattori. Difficili da inserire come gli Slavi e gli Unni. Straccioni maleodoranti. I peggiori rifiuti d’Europa, popolo dai bassi istinti. In tempi più recenti la situazione migliora, ma l’equazione Italiani=Mafia permane. Immigrati clandestini, quanti nel secondo dopoguerra oltrepassando il Gran San Bernardo per andare in Francia furono gettati da qualche dirupo…ricorda gli scafisti che gettano in mare i poveri emigranti dopo aver sborsato tanti quattrini. Furono trentamila i bambini nascosti perché clandestini, in Svizzera “Come Anna Frank” il caso di una bambina nascosta per 4 anni in casa senza uscire mai.

    Stella afferma che piace ricordare solo i nostri compatrioti emigrati che hanno fatto fortuna e hanno dato lustro, ma tutti quelli che non ce l’hanno fatta e sopravvivono oggi tra mille difficoltà nelle periferie, si fa fatica a ricordarli. Le stime parlano di milioni di padri, fratelli di cui non si ha traccia, testimonianza di una storica sconfitta soprattutto nell’Italia della retorica risorgimentale, savoiarda e fascista. Non c’è stereotipo di oggi che non sia stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi. “Loro” sono clandestini? Lo siamo stati anche noi. “Loro” si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L’abbiamo fatto anche noi (un prete irlandese teorizzava che gli Italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i Cinesi). “Loro” vendono le donne? Le abbiamo vendute anche noi. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Anche noi accusati di questo. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto. Fanno troppi figli rispetto alla media italiana? Noi spaventavamo allo stesso modo. Perfino l’accusa più nuova, dopo l’11 settembre, che tra gli immigrati ci sono tanti terroristi, è per noi vecchissima: a seminare il terrore, per un paio di decenni, furono i nostri anarchici. In questa doppia versione dei fatti può essere riassunta la storia dell’emigrazione italiana.
    Detto questo, alla larga dall’apertura totale delle frontiere, dall’esaltazione del melting pot, ma alla larga più ancora dal razzismo, dalla xenofobia, in una società che ha rimosso una parte del suo passato. La lettura del libro è interessante e fa riflettere: tanti di noi puntano l’indice sugli immigrati perché ricordano una parte di noi che vogliamo dimenticare. Ma la Storia non si cancella.

    L’autore. Gian Antonio Stella, giornalista del “Corriere della sera”, ha scritto diversi libri, tra i quali i bestseller Schei, Dio Po, Lo spreco, Chic e Tribù.

    L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi

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