L’AQUILA CITTA’ DI CRIMINALITA’. TRA SANT’AGNESE E IL GRANDE FRATELLO
L’AQUILA – L’indice di criminalità nella nostra L’Aquila è altissimo. Nel suo intervento sul nostro giornale, Paolo Romano, riassume con chiarezza la classifica stilata dal prestigioso “Il Sole 24 Ore” e chiama a commentare la incontrovertibile realtà dei numeri, il sindaco Pierluigi Biondi. Non intendo aizzare una polemica politica su fatti di interesse collettivo. Ma qualche considerazione comunque va fatta. In primis perché nei blog o giornali online (assoldati dal potere politico per campagne di promozione dell’attività istituzionali), la notizia non compare con la rilevanza che meriterebbe. In secondo luogo perché quando la collettività ha un problema diffuso relativo alla sicurezza sociale e dei cittadini, si dovrebbe discutere pubblicamente di come porre rimedio per arginare quella che anno dopo anno si palesa come una iattura. Vien quasi da pensare che la Capitale della cultura 2026, per certi versi potrebbe anche vantare il primato di Capitale dell’omertà. Le tipologie di reato che ha fatto scivolare L’Aquila tra le più pericolose città d’Italia, sono le più disparate. Addirittura un giro di contrabbando. Per non parlare delle violenze, rapine, scippi, spaccio di stupefacenti, incendi sospetti a strutture pubbliche e private, nonché reati legati alla dignità delle persone come la pedopornografia e il voyeurismo patologico: l’ultimo caso è finito agli onori della cronaca nazionale e internazionale qualche giorno fa. Dal quadro descritto dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” L’Aquila non solo non vola, ma cova malaffare diffuso agendo sotto traccia. I cittadini, chiedono risposte serie, interventi di controllo efficaci, azioni di prevenzione e di repressione. Si ritrovano, invece, sommersi da notiziole tutte in lustrini, quasi si trattasse di una città Eden. Dare notizie serie è fondamentale per risolvere il male. Diversamente, il capoluogo di Regione (sempre più solo sulla carta, purtroppo), continuerà a inneggiare alla Sant’Agnese del pettegolezzo, senza rendersi conto che sta sprofondando nei svariati gironi danteschi della delinquenza diffusa. Un ultimo appunto. Tutti a chiedere nome e cognome del nostro guardone nazionale. Quasi che la cultura del voyeurismo non riguardasse un po’ troppa gente. Scusatemi, cari lettori, ma chi segue il “Grande Fratello”, come lo definireste, se non guardone?
Giosafat Capulli



