POLEMICHE SULLA VENDITA DELL’IMMOBILE DEL CONSORZIO DI BONIFICA: “SVENDUTO UN BENE PUBBLICO COME TOTÒ CON LA FONTANA DI TREVI”
CAPESTRANO – Una vicenda che, per paradosso, ricorda da vicino la celebre scena del film “Totò truffa ’62”, in cui il principe della risata cerca di vendere la Fontana di Trevi a un turista americano. Solo che, questa volta, la realtà supera la satira: a finire “svenduto” è stato un immobile del Consorzio di Bonifica Bacino Aterno Sagittario, situato in piazza del Mercato a Capestrano, ceduto per una cifra molto inferiore al suo valore reale.
A denunciare il caso è Alfonso D’Alfonso, socio contribuente del Consorzio, che parla senza mezzi termini di “svendita del patrimonio pubblico” e chiede che la Regione e il Comune facciano piena luce su quanto accaduto.
L’immobile, destinato a uffici e abitazioni per i dipendenti del Consorzio, era stato messo in vendita con delibera del Commissario regionale n. 50 del 19 dicembre 2023. Valutato 158.100 euro dall’Agenzia delle Entrate, è stato però aggiudicato al quarto tentativo per soli 82.000 euro, una cifra che copre appena il 20% del debito complessivo del Consorzio, pari a 395.814 euro verso Banca Sistema S.p.A..
Secondo D’Alfonso, la vendita non solo appare economicamente sconveniente, ma anche giuridicamente illegittima. Il bene, infatti, sarebbe stato classificato come “bene disponibile” per consentirne l’alienazione, ma in realtà – sottolinea – non poteva essere venduto, poiché edificato su un terreno donato nel 1967 dal Comune di Capestrano con vincolo di destinazione d’uso a favore del Consorzio o dei suoi dipendenti.
La donazione, sancita da delibera consiliare n. 8 del 23 marzo 1967 e atto notarile del 9 maggio 1967 redatto dal notaio Federico Carli, prevedeva una clausola di revoca automatica in caso di uso diverso da quello previsto. “In pratica – afferma D’Alfonso – la vendita viola il vincolo originario e avrebbe dovuto comportare la decadenza automatica della donazione, con il ritorno dell’immobile nella disponibilità del Comune”.
“Siamo di fronte a un nuovo atto di depauperamento del patrimonio consortile, dopo la cessione della centrale idroelettrica di Capodacqua – aggiunge – e, come nel film di Totò, anche qui i cittadini rischiano di assistere impotenti alla svendita di un bene che appartiene alla collettività”.
Il socio del Consorzio chiede quindi un intervento dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Abruzzo e della Commissione regionale di Vigilanza per verificare la legittimità dell’operazione, individuare le responsabilità e accertare eventuali danni erariali.
D’Alfonso invoca inoltre la convocazione di un Consiglio comunale aperto a Capestrano, per chiarire perché il Comune non abbia ancora avviato la procedura di revoca della donazione, nonostante l’evidente violazione del vincolo.
“Non è una battaglia personale, ma una questione di tutela dell’interesse pubblico – conclude –. I cittadini hanno diritto a sapere perché un bene donato alla comunità, con vincoli chiari e finalità precise, sia finito all’asta come una merce qualunque. E tutto questo per coprire solo una parte del debito, lasciando un danno patrimoniale e morale a carico della collettività. Un’operazione che, per assurdo, somiglia più a una scena da commedia che a un atto di buona amministrazione”.



