Cultura

I SIMBOLI DELLA STORIA. “IN HOC SIGNO VINCES”

di Anselmo Pagani
ROMA – Il retore cristiano Lattanzio, nel suo “De mortibus persecutorum”, ci narra come nella notte fra il 27 ed il 28 ottobre del 312 l’Imperatore Costantino I, accampatosi con le sue truppe appena a nord di Roma, in prossimità del Ponte Milvio, sia stato avvertito nel sonno di apporre sugli scudi dei suoi soldati il “caeleste signum Dei” alla vigilia dello scontro decisivo per la riconquista della “Caput Mundi”, ormai da sei anni nelle mani dell’usurpatore Massenzio.
Il sistema tetrarchico ideato circa trent’anni prima da Diocleziano e basato sul governo congiunto dell’immenso territorio costituente l’Impero Romano da parte di due Augusti e due Cesari, ognuno con la propria zona geografica di competenza, era infatti durato per pochi decenni.
Già dopo l’abdicazione nel 305 dei due primi Augusti (Diocleziano e Massimiano) avevano iniziato a manifestarsi fra i loro successori insofferenze e gelosie d’ogni tipo, anche da parte dei legionari contrari all’iniziale designazione di due nuovi Cesari, Massimino Dacia e Severo, scelti dal solo Galerio, uomo crudele e vendicativo diventato Augusto della parte orientale dell’Impero, che desiderava per quelle importanti cariche la nomina di personaggi di facciata, da lui facilmente manipolabili.
L’altro Augusto, il mite Costanzo Cloro già molto malato da tempo, non poté opporsi, ma alla sua morte i legionari delle zone occidentali dell’Impero, cioè della Britannia e Gallia, con un colpo di stato proclamarono nuovo Augusto il di lui figlio Costantino, definito da Lattanzio “santissimus adulescens” perché stimato da tutti per la sua affabilità, i buoni costumi, l’esperienza militare e la prestanza fisica.
In Italia invece si assisté alla proclamazione di Massenzio, figlio di Massimiano, che al contrario ci viene descritto come un personaggio malvagio e superbo.
In un turbinio d’alleanze, tradimenti e colpi di scena susseguitisi fra il 305 ed il 312, i vari Augusti e Cesari si diedero dunque battaglia senza esclusione di colpi, in un gioco al massacro reciproco.
Al culmine di questa guerra civile si giunse al “redde rationem” fra Costantino e Massenzio in occasione dei festeggiamenti per la ricorrenza dei “quinquennalia” di quest’ultimo, cioè dei suoi primi cinque anni di regno.
Al risveglio dopo quel sogno epifanico, sempre secondo il racconto di Lattanzio, Costantino ordinò che sugli scudi fosse simboleggiato il Cristo (“Christum in scutis notat”) in forma di “Cristogramma”, ovvero una X messa di traverso col vertice arrotondato.
A sua volta il pagano Massenzio, dopo aver fatto voto a Giove, rinfrancato da un oracolo favorevole che gli aveva svelato come in quella giornata sarebbe morto un nemico di Roma, da lui ovviamente identificato in Costantino, fece tagliare il Ponte Milvio e lo rimpiazzò con un ponte di barche truccato, che a comando si sarebbe aperto al passaggio delle truppe avversarie, facendole così precipitare nelle acque del Tevere in piena.
L’esercito di Massenzio, ben più numeroso di quello avversario, attraversò quel ponte per schierarsi sulla parte opposta del Tevere, in posizione d’attacco, ma l’operazione fu lenta, laboriosa e resa ancor più difficile dalla ristrettezza degli spazi, che finì col trasformare la superiorità numerica in uno svantaggio.
Lo scontro fu molto cruento e rimase a lungo incerto, fino all’intervento risolutivo della cavalleria di Costantino che mise infine in fuga gli avversari, i quali cercarono di riguadagnare la riva opposta del Tevere servendosi di quello stesso ponte da cui erano venuti.
Peccato però che ad un certo punto il meccanismo d’apertura sia scattato proprio sotto i piedi di che l’aveva escogitato, facendo cadere in acqua fra gli altri anche lo stesso Massenzio, trascinato a fondo dal peso dell’armatura e subito annegato.
Ecco dunque che con la morte dell’usurpatore, seguita a breve distanza da quelle di Galerio e Massimino Dacia, secondo Lattanzio si chiuse il cerchio della vendetta divina sui “persecutores” della vera fede.
Grazie a quella vittoria insperata e considerata miracolosa dai più, Costantino ottenne dal Senato l’ambito titolo di “Primo Augusto”, iniziando così un regno che l’avrebbe a buon diritto consacrato fra i grandi della storia, anche se, purtroppo per i Romani, il suo avvento al potere avrebbe presto significato il definitivo tramonto della centralità e dei fasti della Roma imperiale, a tutto vantaggio di Costantinopoli.
Accompagna questo scritto “Il sogno di Costantino”, affresco di Piero della Francesca, 1464 circa, Basilica di San Francesco, Arezzo
 di Anselmo Pagani

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