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LU CAMPESANTE. (Il cimitero)

LU CAMPESANTE
( Il cimitero)

di Ennio Bellucci 

Quande piove,
quande refa’ le fredde
è nuviombre …
i tutte venne
a campesante.
L’arie è chiu pesente
i pe la vojje
poche se vaire
la ggente.
Però, come pe’ maggiojje,
parecchie persaune
venne a trua’
i muorte.
So’ ‘na mucchie,
i so’ tutte forte:
ne’ piegnene …
i a cruocchie
s’accumpegne…
Ecche lu campesante: tutte lumine,
tutte mezze de fiore,
tutte lampadine…
Po’ tutte se ne revenne fore.
Dope l’Ave Marie,
lu paternostre,l’eterne ripose,
l’Angele custode,
quacche i lacrime,
i lu signe della crauce.
De chele c’henne viste
se n’henne scurdate:
“Ue’!..Sci viste lu compare,
sci cuoile, caile,che l’uetre,
sci viste che giacchette,
che cappuotte,che pellicce,
i che cullane”…!
Ma …
Coccherunuetre  ci sta’ a pensa’.
I prime o dope,
tutte alloche
avemmera rencasa’.

 

Il cammino poetico di Ennio Bellucci: dalla Memoria Civile al Memento Mori

di Cristian Di Sanza

L’opera poetica dialettale di Ennio Bellucci si sta rivelando come una meditazione lucida e profonda sull’anima della comunità pratolana, affrontando temi che toccano le radici dell’identità, della memoria e della moralità civica. La sua voce si distingue per la capacità di elevare il vernacolo a strumento di riflessione etica e spirituale.
Dalle riflessioni sulla Storia e sulla Memoria come luogo identitario — chiaramente espresse in composizioni come Lu Munumente (Il Monumento), dove il passato è un pilastro presente — si passa alla dimensione della virtù attiva e della responsabilità sociale, come suggerito dal titolo eloquente La Pace non solo si predica, la pace si pratica. Il cammino si completa con momenti di introspezione personale (‘Na Notte), che ancorano la meditazione a un istante preciso, a un sentire intimo.
Questa traiettoria, che unisce la critica sociale all’omaggio alla tradizione, trova una sua naturale e potente sintesi nel più recente componimento, “Lu Campesante” (Il cimitero), nel quale la memoria storica si fonde con il rito sacro e l’ineludibile destino umano.

Commento a “Lu Campesante”: l’eco silenziosa tra lamine e fiori
Leggendo la poesia di Ennio Bellucci, avverto immediatamente che essa non è una semplice cronaca, ma un vero e proprio affresco dell’anima popolare nel giorno in cui si confronta con il mistero. Nelle sue strofe, percepisco quel brivido malinconico, quel senso di grave sospensione che il poeta evoca sin dalle prime righe: quando “piove” e “refa’ le fredde”, è come se il clima esterno si sintonizzasse con la malinconia interiore di “nuviombre”.
“Lu Campesante” non è solo un luogo, ma uno specchio dell’umano. L’aria è “chiu pesente”, eppure, come il poeta nota con occhio acuto, la gente vi affluisce in un moto quasi atavico, “come pe’ maggiojje”. È la nostalgia che vince ogni ritrosia, è il bisogno di un contatto fisico, sebbene effimero, con l’assenza. Ma è proprio qui che si annida la più tenera e insieme amara osservazione antropologica.

Il cimitero si veste a festa: è “tutte lumine, tutte mezze de fiore, tutte lampadine”. Vedo in questo l’amore umano, nel suo slancio vitale, che cerca disperatamente di addolcire la pietra con la luce e il colore, in un tentativo quasi infantile di vincere il buio della morte. È un gesto di profonda pietà e bellezza.

Tuttavia, l’animo, osservo, è fragile e incline alla distractio. Dopo la preghiera, dopo il sacro sussurro dell’Ave Maria e il “segne della crauce” intriso di qualche lacrima sincera, l’uomo riemerge subito, quasi con un sospiro di sollievo, e si rifugia nella chiacchiera leggera, nel commento sulle “giacchette” e sulle “cullane”. È l’eco della vanitas che non si placa nemmeno di fronte all’Eterno. “Se n’henne scurdate” in un istante, perché la verità della morte è troppo grande, e la si esorcizza parlando del futile.
Eppure, il finale del componimento è un colpo di scena che riconcilia e commuove. Dopo tutto quel rumore, Bellucci introduce un silenzio gravido di verità: “Coccherunuetre ci sta’ a pensa’.” Basta un attimo, una singola anima che non si lascia distrarre, per restituire dignità al rito. Il vero senso non è nel vestito o nel fiore, ma in quella certezza lapidaria, scandita dal dialetto con forza ineluttabile: “tutte alloche avemmera rencasa’.” Il cimitero non è il luogo dei “muorte” che si visitano; è la casa comune, il destino che ci attende tutti. Un meraviglioso e cristiano memento mori, espresso con l’umiltà e la schiettezza della lingua del popolo.

8 commenti riguardo “LU CAMPESANTE. (Il cimitero)

  • Ancora. Evidenzi la tua finezza d’animo e di osservazione acuta non ti voglio complimentare perché sarebbero troppi e a volte sono controproducenti. Per esprimere l’aspetto positivo del sentimento che provo nei tuoi confronti mi fermo qui ! Caro amico però non demordere avanti !!

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  • Daniele Ciarfella

    Complimenti ad Ennio.
    Monito:
    “I prime o dopo,tutte alloche avemmera rencasa'”.
    Pertanto,tutti in guardia,comportiamoci in vita da buoni Cristiani,lasciamo sempre una scia di profumo, dietro le nostre opere quotidiane della nostra breve esistenza terrena.

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  • profonda e bellissima poesia in vista del 2 novembre, commerazione de nostri cari Defunti.Ennio ribadisce la sua grande sensibilità e attenzione verso certi ” temi” così delicati e difficili da trattare. Puntuali le considerazioni di C. Di Sanza( che non conosco) che dimostra a sua volta, profondità di pensiero, padronanza di linguaggio e conoscenza …..complimenti.

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  • Gianclemente Berardini

    Nella vita, nella scuola, nella natura…
    sembra non esistano più “stagioni”… nemmeno l’arte, sul dipingere l’evoluzione, l’andare ed il tornare…
    perciò il pregio del lavoro, con mano leggera e cuore aperto, dell’amico Bellucci, sta nella ricostruzione di un percorso che una volta apparteneva al dna di ognuno, poi perso, un percorso che tra salite e discese, fa affacciare la vita alla vita e riconduce, per la vita, all’origine della stessa… senza tetre alchimie, ma con la levità di una piuma al vento.
    bravo bravo

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  • Ennio Bellucci ci accompagna in un luogo che, pur essendo di morte, è pieno di vita osservata. Il cimitero diventa specchio di gesti antichi e moderni, dove la devozione si mescola alla distrazione, e la memoria si alterna alla vanità. (Non è un giudizio, ma una constatazione): dopo le preghiere, le lacrime e i lumini, affiorano commenti leggeri su giacche, pellicce, collane. È come se il raccoglimento iniziale, sincero e composto, venisse interrotto da un bisogno umano di tornare alla superficie, di esorcizzare la morte parlando di ciò che è visibile, tangibile, mondano. Bellucci mostra questa alternanza senza condannarla, lasciando che sia. E quel “ne’ piegnene … i a cruocchie s’accumpegne…” racconta una forza silenziosa, una dignità condivisa nel dolore. Il finale poi è una carezza che inquieta e consola: “tutte alloche avemmera rencasa’”. Non c’è retorica, solo verità detta con dolcezza. E in quel “rencasa’” c’è tutto: il ritorno, la fine, ma anche una forma di pace.

    Grazie al poeta per averci donato parole che non solo raccontano, ma custodiscono la verità delle cose semplici, essenziali…

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  • Gaetano Villani

    * Gaetano Villani. Novembre alle porte, non poteva mancare una poesia pratolana di quel genio di Ennio Bellucci, sul culto dei morti. L’autore ci fa immaginare la pioggia, la nebbia e i primi freddi. Sullo sfondo “Lu campesante”: i lumini, i fiori e, davanti alle tombe, anziani in preghiera. ma anche “compari e comare” con giacchette, cappuotte, pellicce e cullane a celebrazione della vana gloria terrena. E poi, nel finale, arriva l’ammonimento del Poeta: prima o poi, “tutte alloche”, a lu Campesante, “avemmera rencasa”. *già presidente del consiglio comunale di Manoppello

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  • Rosanna Di Rocco (già Dirigente Scolastico Primo Circolo Pescara

    Quello di Bellucci è uno scorcio di vita ,denso, coinvolgente, in un luogo che celebra la morte.
    Ognuno di noi si sente parte della scena immersa in un’aria di ricordo,rimpianto,malinconia.
    L’ambiente naturale è pregno di quella nostalgia che non è più dolore e ci spinge a richiamare persone che hanno condiviso con noi un tratto di strada.
    Mentre si è costretti a riconoscere questo luogo quale ultimo approdo, pure , questo pensiero è sfumato dall’incedere della socialità,dell’incontro casuale e gradito.
    L’autore,in poche pennellate,coglie il senso della vita e della morte.

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  • Mauro Di Benedetto

    Caro Ennio,
    la tua poesia è un ritratto sincero di un rito che ci appartiene.
    I lumini, i fiori, le preghiere e i silenzi, compongono un momento di raccoglimento profondo, dove la gente si ritrova non solo per ricordare, ma per sentirsi parte di una memoria condivisa.
    Il dialetto della nostra terra dà voce autentica a questa verità: è identità, è radice, è emozione che ai più non ha bisogno di traduzioni.
    Tra gesti composti emerge anche la nostra debolezza terrena e quel bisogno di appartenere, di non essere dimenticati.
    Qualcuno riflette: prima o poi, toccherà anche a noi.
    Non è paura, è consapevolezza.
    È il rispetto per chi ci ha preceduti e l’amore per ciò che resta.
    Grazie per averci donato un’opera che sa accendere la memoria e farci sentire vivi, anche nel ricordo.

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