“MIO PADRE UCCISO E IL SUO ASSASSINO È GIÀ LIBERO”. LA RABBIA DI SARA ANZINI CONTRO UNA GIUSTIZIA CHE NON FUNZIONA
Una legge che non punisce davvero, pene che si riducono fino quasi a scomparire e una ferita che non si rimargina. È la rabbia composta ma durissima di Sara Anzini, figlia del carabiniere Emanuele Anzini, travolto e ucciso nel 2019 mentre era in servizio a un posto di blocco a Terno d’Isola, nel Bergamasco.
Domenica sera, ospite del programma di Rete4 “Fuori dal coro”, Sara ha ricordato suo padre e lanciato un appello accorato: «C’è bisogno di pene più severe e più giuste. L’assassino di mio padre oggi è libero, e questo non è giusto».

Dietro la commozione, le sue parole sono un atto d’accusa verso un sistema giudiziario che – dice – “favorisce chi sbaglia e non chi soffre”.
“Era un giorno come tanti, poi la tragedia”
«Il 17 giugno 2019 mio padre era uscito di casa per andare al lavoro, come sempre. Nessuno poteva immaginare che sarebbe stato il suo ultimo giorno», racconta Sara. Quella notte, alle tre, Emanuele Anzini, appuntato scelto dei Carabinieri di 41 anni, fermò un’Audi A3 per un controllo di routine. Al volante c’era Matteo Colombi Manzi, aiuto cuoco di Sotto il Monte, ubriaco quasi cinque volte oltre il limite e distratto dal telefonino. Tentò una manovra improvvisa e investì in pieno il militare, scaraventandolo a cinquanta metri di distanza.
Per Anzini non ci fu nulla da fare. L’investitore scappò, per poi tornare indietro poco dopo.
Una pena che non restituisce giustizia
Colombi Manzi fu condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza e dall’omissione di soccorso. Ma in appello la pena fu ridotta a sei anni, due mesi e venti giorni, poi ulteriormente alleggerita grazie agli sconti di pena e all’affidamento ai servizi sociali.
Oggi, a distanza di poco più di sei anni dalla tragedia, l’uomo è libero.
«Non è accettabile – dice Sara – che chi uccide, anche se involontariamente, possa tornare alla vita di prima così presto. Mio padre non tornerà mai più. Queste leggi dovrebbero far paura, non proteggere chi le infrange».
Il risarcimento e le scelte dello Stato
L’investitore ha risarcito la famiglia di Anzini e alcune associazioni di vittime della strada, ma non l’Arma dei Carabinieri, che non si è costituita parte civile per scelta della Presidenza del Consiglio dei ministri, su parere dell’Avvocatura dello Stato.
Una decisione che ha lasciato amarezza e sconcerto tra i familiari.
Un appello che parla a tutti
Sara Anzini oggi chiede che la morte di suo padre non sia solo un ricordo doloroso, ma un punto di partenza per riformare le leggi sull’omicidio stradale.
«La certezza della pena – ripete – è l’unico modo per ridare dignità alle vittime e rispetto a chi ogni giorno indossa una divisa per proteggere gli altri».



