LE BANCARELLE (Le Bancarelle)
LE BANCARELLE
( Le bancarelle)
di Ennio Bellucci
Mantemane, come a tutte ietr’enne,
emme meneute alla piazze
pe verajje la feste
de la Maronne.
Ma stavote,però,
ne’ eve come all’atre vote.
:” Laure’ ,fa cassame sbajjete!
Le bancarelle a’sono ndo’ stenne?
Che festa è senza nesceune,
senza la perchette, la scapaice,
i palleune, Chele ‘nche lu pappaalle
che te legge la pianaite.
Senza Americhe ch’allucche “America
dentre la ceste” , i venne le nucelle?
Inzomme ne’ pare proprie
ca è feste!
I alla fine, se’ che c’è?
Henne raggiaune chi du viocchie
che stivene a ricere: ” ‘Sta feste,
senza tutte che ll’arrelle
de bancarelle, de ggente
i de perchette,
è come nu Sante
che nen se ruarde.
Ma ch’enne cumbenete
chisse che cummennene mo?
Henne cagnete e sfascete tutte.Henne
capoite poche i nionte.
Avivene ritte ca
uline fa ordine…Ci sta’
troppe accerrijje,
troppa ggente
miozze la vojje.
Troppa confusione…
Emmera fa pulezzojje!..
Atre che ordene
i pulezzojje!
La pulezzojje ,sci’,
L’henne fatte …..
a Le saccoccie,
ma a chele d’ietre,
però,
atre che storie! ”
Il sogno rubato delle “Bancarelle”…
di Luigi Liberatore
Ennio Bellucci non lo scopro io. E non adesso. In fondo, poi, chi mai sarei per dirlo? Sono solo uno curioso, coetaneo di quel brillante giornalista della RAI, elegante come persona e depositario di una cultura passionale, non quella esibita, ora come allora, da tanti componenti della galassia giornalistica allevati magari alle fonti tascabili dei “Bignami”, ma di quella che chiama in causa i sussulti dell’anima e che non va in cerca di adesioni o applausi. Ho incrociato Bellucci poeta dopo averlo gradevolmente “subito” in trent’anni di Tiggì nella consapevolezza che potesse rifluire magari nell’anonimato del pensionamento, mai pensando di averlo accanto nelle mie notti insonni alla ricerca della pace interiore, quella della infanzia perduta, ricca dei ricordi che stemperano le acidità della vecchiaia. Ho avuto già modo di riflettere su alcune sue poesie che sanno di medioevale discanto (se il termine mi viene consentito), ma quest’ ultima sulle “Bancarelle” mi ha trasportato davvero indietro nel tempo. I ricordi. Bene. Prima di dire due parole sui bellissimi intercalari di Bellucci, dico che i versi sono universali per certuni, come i suoni per altri. Mi viene alla memoria un articolo di tantissimo tempo fa di un giornalista sportivo americano il quale scrisse che Joe Louis, il famoso pugile americano che per dodici anni fu campione mondiale di pesi massimi, amava passare (in vecchiaia) parte del tempo seduto sulle panchine di Las Vegas e che al suono del passaggio del tram si alzasse e si mettesse in guardia ma ridendo. Come se volesse scherzare con se stesso e col tempo passato. Ecco, i ricordi come richiamo ancestrale della memoria. Il Bellucci “ragazzo”, giusto per tornare a noi, non dimentica la delusione provata nel giorno dedicato alla Madonna di Pratola, in quel primo maggio quando affacciandosi in piazza non vede le bancarelle, emblema storico della festa. Lo sconforto della piazza vuota, senza i personaggi scolpiti dal tempo, il venditore di palloni, della porchetta, delle nocelline americane, sanno di tradimento di un sogno laicamente infantile e non di offesa alla religione. Infine l’amara sintesi: “Quest’anno, senza le bancarelle, è come un santo che non si riguarda”. Traduzione che non rende il senso profondo del dialetto che, invece, buca l’anima. Al mio lettore dico di andare a leggersi la poesia di Ennio Bellucci e di fare lo sforzo di addomesticare quella “lingua”, come ho fatto io, e di attrarla a sè perchè capace di evocare ricordi non banali, quelli che magari riposti in un angolo della memoria sanno rendere meno aspro il sentiero del tramonto… A proposito di Joe Louis, la campanella del tram lo riportava all’angolo del ring, io mi sono alzato dalla sedia nel leggere la poesia di Ennio Bellucci. Si può essere sorpresi e felici anche per un istante nel sentire un suono amico o leggere una frase. Io ho provato questa sensazione, ma a Ennio Bellucci devo chiedere perdono se ho abusato in maniera maldestra dei suoi versi piegandoli al mio benessere spirituale senza rendere onore alla sua arte. Lo autorizzo sin d’ora a chiedere il risarcimento per questo.




La poesia di Ennio mi ha fatto tornare alla mente la festa che viveva anche il mio piccolo paese molisano in occasione delle fiere . Era tutto un brusio, movimenti di persone. Dialoghi, canti, il suono della banda. Le massaie, gli artigiani alla ricerca di un prodotto o di un attrezzo che poteva servire. Ennio fa rivivere momenti bellissimi. Grazie
Caro amico Enio avanti così non demordere. Sei uno che al ns paese. Gli vuole bene. Pochi spendono qualcosa per migliorarlo Kennedy. Diceva. Agli americani non aspettatevi molto dallo Stato americano siete voi che vi dovete impegnare a dare qualcosa. Da un punto di vista culturale , economico e sociale uno stato non v’è depredato. Avantiiiiiiiiiiiii!!!!!
Molto bella la musicalità che trasmette un senso di affettuosa nostalgia. Bravo Ennio per la salvaguardia di quel grande nostro patrimonio che è il dialetto
Grande Ennio,
il ricordo di ogni pratolano e,non solo, si riconcilia con questa poesia e torna per 10 minuti adolescente.
Fusar,Trentino,Vittorio,Gianni,i gurdiani dell’ordine pubblico delegati al rispetto delle ordinanze sindacali,che facevano pero’ sminuire la “grandezza”Nostra Grande Fiera della Madonna della Libera.
Tutto passa,ma queste righe della poesia di Ennio,sono tasselli di storia,della memoria collettiva di ogni pratolano “datato”.
….ancora un “affresco” straordinario fatto di ricordi,emozioni, personaggi,sensazioni vissute.
Dimostrano e confermano ,daparte dell’autore,sensibilita’,appartenenza e attaccamento alle proprie origini.Non c’è solo il giornalista…è presente e si percepisce, l’uomo Ennio con tutte le sue più elevate e nobili peculiarita’. A integrazione dei versi, l’ottima lettura che ne fa Luigi Liberatore ,che ne esalta la musicalità, le sfumature e le pieghe più nascoste.
Complimenti vivissimi
Ennio mi ha portato indietro nel tempo…noi Pratolani aspettavamo la festa per tutto quello che Ennio ha magistralmente scritto…ho rivisto tutto…. Grazie mille !!
Penso che Ennio Bellucci, ormai, ci abbia fatto il callo ai consensi e agli applausi per la produzione delle sue splendide poesie in dialetto pratolano. Tanto sono belle, quanto originali e capaci di suscitare ricordi di un tempo che non c’è più. Con “Le bancarelle” il Poeta, sostanzialmente, ci dice che non può esserci una festa, un mercato, una fiera senza le tradizionali bancarelle. Queste piccole impalcature ornate di teli, da sempre, sono il termometro da cui misurare l’importanza e la riuscita di un evento. Ad esempio, a Manoppello, una volta non c’era spazio per contenere le bancarelle nel mercato del venerdì. Adesso, a malapena, arrivano 3 o 4 ambulanti e, a volte, vanno via senza aver venduto niente. È il segno dei tempi. Ennio, con la sua poliedrica fantasia, immagina una festa senza le tradizionali bancarelle e, giustamente, arriva alla conclusione che, in senso figurato, si tratta di una festa dedicata a un “Santo che non si riguarda”. Questo paragone, mi ha fatto tornare alla mente mia madre che, per catalogare qualcosa di poco importante, diceva: “è come una festa che non si riguarda”. Grazie Ennio, grande amico mio, per questa ennesima prova del tuo talento creativo e genio poetico, ma anche per aver fatto riemergere dalla memoria mia madre, che portava un nome biblico: Rachele. Donna straordinaria, carattere forte, che ha inciso profondamente sulla mia indole e sul mio modo di essere. Grazie davvero caro Ennio. Gaetano Villani già Presidente del Consiglio comunale di Manoppello
Come un Santo che non si guarda
La poesia Le bancarelle di Ennio Bellucci è un piccolo scrigno di memoria, un racconto che si muove con grazia tra ciò che era e ciò che è, senza mai scivolare nel patetico o nel nostalgico. Il poeta ci conduce alla festa della Maronne, come si faceva da sempre, ma qualcosa è cambiato. Non ci sono più le bancarelle, la confusione, i venditori di nocelle, il profumo della scapece, i giochi, le voci. Eppure Ennio non alza la voce, non si lamenta. Osserva. Con eleganza, con misura, con quel giusto distacco che non è freddezza, ma consapevolezza. E con quella giusta vicinanza che non è attaccamento morboso, ma affetto.
Il verso “ne’ eve come all’atre vote” non è un lamento, è una constatazione. E quando scrive “è come nu Sante / che nen se ruarde”, ci offre un’immagine potente e delicata: la festa svuotata diventa un rito che ha perso il suo sguardo, la sua anima. Ma non c’è rabbia, c’è solo il riconoscimento che il tempo cambia le cose. E che qualcuno, oggi, “henne cagnete e sfascete tutte”, forse non ha compreso il valore di ciò che c’era.
Ennio coglie con finezza questo equilibrio: il confronto tra passato e presente non è mai gridato, ma suggerito. E ciò che resta non è un rimpianto sterile, ma un insieme di elementi preziosi. Anche questa, come le altre poesie dialettali di Bellucci, è una perla appartenente a una collana preziosa. I suoi versi sono un patrimonio, una sequenza di immagini e parole che raccontano l’evolvere o l’involvere del tempo, secondo i punti di vista. Ma sempre con dignità, con stile, con verità.