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MASSIMO PROSPEROCOCCO: “SOCIALE FRAGILE E CITTA’ FRAGILISSIMA”

di Massimo Prosperococco
L’AQUILA –  L’ISTAT ci dice che in Italia un residente su dieci vive in povertà assoluta. Non è un numero astratto, è la fotografia di vite reali che abbiamo intorno a noi, anche qui a L’Aquila.
C’è la signora Maria che mi ha chiamato due giorni fa, vedova da anni, che si trova davanti a una scelta impossibile: entrare in una RSA, lasciando la sua casa e la sua autonomia, oppure continuare a vivere da sola. Le basterebbe una badante per qualche ora al giorno, ma con la pensione minima non può permettersela. Così resta sola, e la solitudine diventa paura quotidiana.
C’è Michele, un precario, che lavora poche ore al giorno e non riesce a trovare altri lavori. Vorrebbe garantire ai suoi due figli un futuro migliore, ma i soldi non bastano nemmeno per pagare la scuola materna e l’asilo. La frustrazione più grande è sentirsi inutile, pur mettendo tutta la sua volontà.
C’è un nonno che mi ha raccontato la sua storia: la figlia è stata costretta a lasciare il lavoro per assistere il proprio bambino con disabilità. Una scelta dolorosa che ha tolto alla famiglia un reddito importante e ha aumentato il peso economico ed emotivo su tutti.
Queste non sono eccezioni, sono la quotidianità. Sono la prova che la povertà non è mai colpa di chi la subisce, ma il risultato di politiche sociali deboli, incapaci di sostenere chi più ha bisogno: anziani soli, famiglie con figli, persone con disabilità, lavoratori poveri.
E il pensiero che mi accompagna è uno solo: non possiamo più voltare lo sguardo dall’altra parte. Ogni volta che ignoriamo Maria, Michele o quel nonno, stiamo ignorando noi stessi, il futuro dei nostri figli, la dignità della nostra comunità.
E allora basta ipocrisie. Basta chiudere gli occhi. Io ricevo ogni giorno telefonate di persone disperate che chiedono aiuto, e posso solo immaginare quante ne arrivino al Comune. È inaccettabile che chi amministra la nostra città non veda o finga di non vedere.
Questa situazione deve cambiare, subito. Perché una città che lascia indietro i suoi cittadini più fragili non è una città giusta, non è una città viva.

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