LAVASTOVIGLIE, LA COMODITÀ CHE SEMINA PLASTICA.
A cura del prof. Maurizio Proietti
Lavastoviglie, la “comodità” che semina plastica. Ecco cosa dice davvero unrecentissimo studio di Brisbane.
Un gesto automatico che viene riproposto frequentemente in cucina è quello di infilare i contenitori di plastica nella lavastoviglie. Un’azione rapida, ma peccato che la storia non finisca lì. Un gruppo dell’Università del Queensland (Brisbane) ha misurato cosa succede dentro questo elettrodomestico d’acciaio: un singolo ciclo con un carico pieno di oggetti in plastica può liberare circa 920.000 particelle tra micro e nanoplastiche, che finiscono nell’acqua di scarico. Se facciamodue calcoli, ogni anno “seminiamo” circa 33 milioni di particelle per famiglia. In termini di massa è poco: un quarto di chicco di riso, ma su una scala di milioni di cucine l’impatto esiste, eccome.
Di quale plastica parliamo, e perché si libera
Il ciclo di lavaggio unisce detergenti, acqua calda e abrasione (fino a 70 °C). Sul banco di prova sono finiti comuni contenitori e utensili domestici (nuovi di fabbrica): la frizione meccanica e gli sbalzi termici staccano frammenti dalle superfici. Polipropilene (PP), polietilene (PE) e polistirene (PS) risultano tra i materiali che rilasciano più e più grandi particelle in queste condizioni sperimentali.
Già dopo alcuni utilizzi i contenitori di plastica possono risultare un po’ meno pericolosi sul fronte della lisciviazione: per lisciviazione s’intende la migrazione di molecole presenti nella plastica (additivi, monomeri, coloranti) verso cibo o acqua, favorita da calore, grassi/acidi e tempo; le prime lavate ne rimuovono una quota più “mobile”, riducendone la cessione. Attenzione però, graffi e usura aumentano il rilascio di microframmenti, quindi i pezzi rovinati vanno sostituiti (o meglio ancora, usare vetro/acciaio per caldo e lungo contatto).
Il lavoro scientifico è stato pubblicato su ACS ES&T Water (American Chemical Society) e, al netto dei titoli sensazionalistici, dice una cosa semplice: la lavastoviglie è una sorgente domestica finora trascurata di micro/nanoplastiche. Non la sorgente principale, ma una voce in più in un bilancio che somma abitudini quotidiane e infrastrutture non ancora attrezzate per trattenere il particolato plastico più fine.
Ma se la massa è così bassa, dov’è il problema?
La massa rilasciata è piccola, gli autori ne sono consapevoli; il numero di particelle però è grande e il contributo si ripete ogni giorno in milioni di case. Le reti fognarie e gli impianti di depurazione trattengono una parte consistente del particolato, ma non tutto: una quota sfugge, raggiunge corsi d’acqua e suoli, entra nella catena alimentare. E certamente, non è questo il metodo apocalittico per avvelenare il mondo; è comunque un altro rubinetto lasciato aperto. E come tutti i rubinetti aperti, conviene chiuderlo dove è facile.
Cosa possiamo fare, subito e senza crociate
Innanzitutto, preferire vetro e acciaio per contenere e conservare cibo; sono materiali stabili e lavabili senza rilasci. Consiglio ovvio, ma non banale, perché anche se il vetro pesa in compenso non sfoglia microframmenti e non inquina soprattutto la nostra catena alimentare. In sintesi estrema: non li ritroviamo nel cibo che mangiamo. E se proprio plastica dev’essere, bisogna limitare i passaggi in lavastoviglie. In questo caso, gli esperti consigliano di mettere gli oggetti da lavare sul ripiano superiore, lontano dal braccio irroratore; usare cicli più miti e temperature più basse quando possibile; evitare plastica graffiata/invecchiata (essendo più fragile favorisce un maggior rilascio). Quando possibile lavare a mano con acqua tiepida per gli oggetti più “delicati” (e niente pagliette abrasive sulle superfici in plastica). Gli oggetti di plastica usati per la conservazione degli alimenti, quando sono graffiati e usurati dobbiamo mandarli in pensione anticipata.
Queste indicazioni riflettono sia lo studio scientifico sia la sintesi divulgativa circolata in Italia, che ha sottolineato prudenza, materiali alternativi e buon senso nell’uso della plastica in lavastoviglie.
E le lavastoviglie? Possono migliorare anche loro
Il gruppo di Brisbane suggerisce una strada concreta: filtri o trappole integrate per le particelle (un po’ come sta accadendo per le lavatrici e le microfibre), così da intercettare il particolato prima che imbocchi la via degli scarichi. Non è scienza-fiction: è progettazione industriale e normazione tecnica. Se vale per i tessuti, perché non standardizzare anche in questo caso?
Due precisazioni serie che spesso mancano nei post disarticolati e virali
In conclusione
Nel catalogo delle piccole cose che contano, questa è una vite facile da stringere. Non serve demonizzare la lavastoviglie, che resta un alleato dell’igiene, ma serve trattare la plastica per ciò che è: comoda, sì; fragile e “sfarinabile”, pure. Se cambiamo materiali in cucina dove ha senso e chiediamo agli elettrodomestici un filtro in più, è così che chiudiamo un altro rubinetto invisibile. Questo è pragmatismo, non allarmismo.
Immagini interessanti e utili
Nelle foto che seguono si osservano i macrofagi (i “netturbini” del sistema immunitario) che sono addestrati a “divorare” microbi, ma in questo caso divorano microplastiche. Oggi incontrano microplastiche (indicate dalle frecce): le inglobano lo stesso, perché difendere l’organismo umano è il loro mestiere, ma smaltirle è un’altra storia. Il risultato? Cellule cariche di rifiuti che non riconoscono e creano danno come ad esempio uno stato infiammatorio cronico. Ecco perché ridurre la plastica non è ideologia, è igiene di base.

Figura 1. Cellule THP-1 (macrofagi) con nanoparticelle di polistirene fluorescenti (modello di micro/nanoplastiche) internalizzate; le frecce indicano le particelle dentro le cellule. Fonte e licenza: Paget V. et al., PLOS ONE 2015, Fig. 4 — Creative Commons Attribution 4.0 (uso anche commerciale con

Figura 2. Micrografie in campo chiaro di macrofagi THP-1 dopo 24 h di esposizione a controlli, lipopolisaccaridi (LPS), microplastiche (PA, PP, PVC) e TiO₂. I lipopolisaccaridi sono molecole di superficie dei batteri Gram-negativi; dette anche endotossine. Stanno nello strato esterno della membrana batterica. Attivano il sistema immunitario scatenando febbre e infiammazione. Sono “campanelli d’allarme” batterici che il nostro sistema immunitario riconosce e, se abbondano, possono farlo reagire in modo esplosivo.

Figura 3. Immagini di microscopia confocale di macrofagi THP-1 esposti per 24 ore a particelle di polistirene fluorescenti di medie dimensioni, 0,05, 0,2 e 1 µm (10 µg/ml). Le particelle sono mostrate in verde, i nuclei in ciano e l’actina in rosso.
“Fig. 2 e 3” da: van den Berg AET, Adriaans KJ, Parker LA, Höppener EM, Dusza HM, Legler J, Pieters RHH. Top-down generated micro- and nanoplastics reduce macrophage viability without eliciting a pro-inflammatory response. Microplastics and Nanoplastics 5, 32 (2025). Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0).
Riferimenti
Dishwashing a source of microplastic pollution:https://news.uq.edu.au/2025-05-20-dishwashing-source-microplastic-pollution
Average household dishwasher releases 33 million nano and microplastic particles per year, research finds: https://www.abc.net.au/news/2025-07-02/dishwasher-microplastics-research-need-for-australian-standard/105481834
Release of Micro- and Nanosized Particles from Plastic Articles during Mechanical Dishwashing: https://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acsestwater.4c00768
Running plastic dishes through the dishwasher adds millions of microplastics to wastewater each year: https://www.ehn.org/running-plastic-dishes-through-the-dishwasher-adds-millions-of-microplastics-to-wastewater-each-year
Una nuova ricerca mette in guardia sui rischi per la salute derivanti dall’uso della lavastoviglie: «È un’azione apparentemente innocua: https://www.sfpdentalserviceversilia.it/una-nuova-ricerca-mette-in-guardia-sui-rischi-per-la-salute-derivanti-dalluso-della-lavastoviglie-e-unazione-apparentemente-innocua/



