
CABBIA DI MONTEREALE: LA VITA DEL PASSATO IN UN PAESE DI MONTAGNA E LE PROBLEMATICHE PROSPETTIVE PER IL FUTURO
Cabbia di Montereale: la trasformazione del paese ed i mestieri desueti, tra storia e attualità. Il tradizionale assetto sociale dei nostri paesini si è radicalmente modificato nel corso del secolo scorso portando alla scomparsa di tanti mestieri che servivano a rendere oltre che una forma, anche se misera, di sostentamento per gli addetti ai lavori, un sevizio alla Comunità. In pratica era una situazione di autonomia in grado di supportare le esigenze di tanti compaesani visto che a quei tempi i paesi montani erano pieni di gente. Si arrivò di fatto alla quasi scomparsa della pastorizia e dell’agricoltura quindi un mutamento delle condizioni di vita con i relativi sacrifici che le medesime attività comportavano. I bisogni nuovi per i giovani con il boom economico diedero un’ulteriore spinta allo spopolamento delle nostre zone. Molti si trasferirono nelle grandi città impiegandosi nei vari settori; altri si occuparono di edilizia divenendo degli ottimi capimastri. Nonostante ciò alcuni di quei ragazzi, in età avanzata, ritornarono a Cabbia a godersi il meritato riposo. I principali mestieri cui si dedicavano i ragazzi, rimasti in paese, per lo più quelli appartenenti alle famiglie povere, erano la pastorizia, l’accudimento degli armenti, lo zappatore delle aride terre di montagna, il falciatore e il mietitore. Quei mestieri, ormai desueti, li effettuavano in tutti i paesi del circondario. Io ben ricordo uomini di Cesaproba, paese a Cabbia storicamente legato, venire a zappare o ad arare con i buoi le nostre terre. Allo stesso modo le donne, in primavera, venivano a mondare il grano con le nostre mamme. Intente a lavorare cantavano le canzoni dell’epoca ed era un vero incanto poiché tutti quei pietrosi terreni in attività di coltivazione, erano talmente ben lavorati che sembravano pettinati. Oggi, nell’epoca del computer del consumismo e del benessere, sentire dire dai giovani che era meglio prima mi suscita una reazione di fastidio improvviso e mi rattrista. Io, che sono vissuto a Cabbia fino all’età di dieci anni e d’estate portavo le pecore al pascolo oltre a tanti altri piccoli lavori famigliari tipo la raccolta della legna e delle pigne che a turno portavamo anche a scuola per accendere la stufa al mattino prima di iniziare le lezioni, ben conosco e ricordo le mille difficoltà di simili, bui, tempi. La sofferenza, la solitudine, la condizione d’inferiorità rispetto ad altri bambini del paese che avevano un tenore di vita più agiato. Tutto ciò è servito a forgiare il carattere mite, comprensivo e rispettoso , di tutto e di tutti pronto a schierarmi, sempre e comunque, da una parte sola: quella degli ultimi. Lo spopolamento, la disoccupazione ed il cambiamento generazionale sono gli elementi basilari che si notano un po’ ovunque ma con maggiore incisività nei nostri montani borghi. Quelle vie e quelle case un dì brulicanti di persone e di vita ora sono pressoché vuote. Non riescono a riempirsi neanche d’estate. Sembrano delle soffitte vuote, impolverate e dense di ragnatele ma piene di ricordi da riscoprire quando se ne ha voglia. In questo Cabbia si distingue poiché nei giorni della ricorrenza del Santo Protettore, S. Rocco, tutti tornano ed il paese si riempie all’insegna della fede, dell’amicizia della cordialità. Sentimenti sempre attuali tra i “ cajani “ sparsi nei vari sentieri della vita. Gli attuali tempi di crisi , con i prezzi dei carburanti alle stelle, stanno mettendo a dura prova i nostri paesi grandi e piccini, borghi e città. Dobbiamo avere la forza di aspettare, cercare, impegnarsi e costruire tempi migliori. In questo storia, cultura e tradizioni ci aiuteranno, e non poco. Anche alla luce dell’Aquila Capitale della cultura 2026. C’è bisogno di “estirpare erbacce” per permettere alle piantine di grano di espandersi al meglio ed essere più produttive.