
CULTURA DI DESTRA E CULTURA DI SINISTRA
di Massimo Di Paolo – Quello che sta emergendo in questi ultimi giorni negli ambienti della Cultura italiana, sembra quasi una resa dei conti dopo decenni di ripensamenti, rancori e distingui di lana caprina. Incontri ravvicinati tra rappresentanze culturali diverse: quella di destra e quella di sinistra. Due culture che di fatto danno vita a due sistemi di potere inconciliabili per finalità, nuclei portanti e principi teorici di riferimento. Non è una cosetta da poco. Si tratta di declinare i principi portanti dell’identità di una Nazione, i valori etici di riferimento, i nessi su cui articolare le impronte della storia passata e gli orientamenti futuri. “Dio, patria e famiglia” erano e vogliono tornare ad essere le coordinate di riferimento, insieme all’abbattimento di ogni principio di uguaglianza tra individui; di ogni riconoscimento di orientamento sessuale e di ogni sistema familiare fondato sui sentimenti e non sui patti di sangue. La vicenda può essere letta anche con i codici psicologici che vedono nelle scelte politiche di destra, anche recenti, una risposta traumatica da stress non risolto. Dalla fine del fascismo la destra sembra vivere una condizione paranoica da complesso di inferiorità: la cultura è cosa di sinistra e per poter esorcizzare questa credenza, o questo stato delle cose, si assiste a reazioni scomposte da “politica di ripristino”, per un nuovo canone costitutivo, per una nuova Cultura nazionale. Il dibattito, se cosi lo si può chiamare, mette a fuoco una destra che rivendica una propria e autorevole tradizione intellettuale a fronte di un sistema di controllo dominato dalla sinistra che, di fatto, escluderebbe ogni altra forma di produzione culturale: nel cinema, nei teatri, nella musica, nei premi letterali e soprattutto, nella Scuola, nei ministeri e nelle commissioni. La risposta politica attuale è evidente nei tentativi di “ri-conquista” di diversi settori culturali ma, al di là delle motivazioni storiche, appare spesso contradditoria se non posticcia. Dalla passione per il Signore degli Anelli, con la grande mostra dedicata a Tolkien, fino ai Campi Hobbit e alla emergente “culture wars” nel tentativo di affermare i vecchi valori di riferimento. Il tutto passando per l’ex ministro Sangiuliano -su cui si vince facile- fino all’attuale Alessandro Giuli che dell’egemonia sull’informazione ne fa un vanto relegando il dibattito democratico a una “cosa” di sinistra. Il tutto nel tentativo di mettere le mani dentro le istituzioni culturali con una sorta di apparente ribellione al pensiero “postfascista” che nasconderebbe i nemici veri e presunti della destra nazionale. Verrebbe spontaneo usare il linguaggio formidabile della satira dinanzi all’impalcatura concettuale di Gennarino e alla maieutica narcisista di Giuli, entrambi presi dal racconto autoconsolatorio su una sinistra usurpatrice utile per decapitare teste, sospendere fondi, assegnare risorse e glorificare nuovi uomini con nuove nomine. “La Cultura per rifondare una Nazione”, potrebbe essere il titolo di un piano-programma politico di vecchia memoria. Di fatto le cose stanno avvenendo a piccoli passi ma sempre evidenti per i più attenti. Insegnanti, ricercatori, educatori, scrittori, un certo rango di giornalisti, registi of limits i nemici giurati. Sacerdoti che operano nelle istituzioni più ostili tra cui la Scuola pubblica, dove si fomenta una lettura della storia e della società pericolosa per le destre – dove si insegna il valore dell’antifascismo, la lotta al razzismo, i principi dell’uguaglianza e dove sono ancora visibili le tracce del Sessantotto – . E se non lo si può fare per via diretta rottamando il possibile, il passato e le sue rappresentanze da Verga a Dario Fo, da Eduardo a Giorgio Gaber, da Bobbio a Scalfari, allora meglio il riciclo: purché tutto sia ri-utilizzabile affinché spazio, sangue e suolo ridefiniscano la “nuova destra”. Di fatto artifici messi in campo per esorcizzare una percepita sudditanza culturale e teorizzando un’ipotesi di cultura né di destra e né di sinistra addomesticando giganti come Gramsci, Che Guevara e, da poco, perfino Pier Paolo Pasolini all’ultimo esame di “maturità”. Certo IL Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara non se l’è sentita di omettere i 50 anni dalla morte del Poeta e per questo forse si è preferita una traccia che non doveva compromettere: funzionale all’operazione di mescolamento in atto. Un Pasolini utile per sollecitare riflessioni sui riti di passaggio a cui i giovani non possono sfuggire ma ben lontano dal politico, dal narratore, spesso cinico e crudo testimone, di una realtà fatta da disuguali. Un’operazione di facciata, come dire: cappuccetto rosso senza il lupo cattivo, il trapezista con il paracadute aperto, il domatore fuori dalla gabbia. Il sistema culturale nazionale come sabbia in ri-mescolamento nel tentativo di ricompattarsi per dar vita a una nuova weltanschauung, a una nuova concezione del mondo. Tela con ricamo e ordito complesso da conoscere per sentirsi parte di un cambiamento in atto. L’ennesimo della nostra storia. “Libri & visioni” sceglie e suggerisce due letture con due approcci contrapposti. Entrambe sono interessanti, sufficientemente agili e utili per diventare acuti osservatori: per poter partecipare, con senso critico, ai fenomeni di politica culturale che annunciano profondi cambiamenti. Entrambe le scelte approfondiscono e propongono un percorso di conoscenza dei contenuti trattati e degli approcci scelti in questa riflessione.
Di Valerio Renzi, Le radici profonde -la destra italiana e la questione culturale- Fantango libri
Di Daniel Chandler, Liberi e Uguali -manifesto per una società giusta- editori Laterza.