
SULMONA, TESTIMONE SI PRESENTA IN PANTALONCINI IN TRIBUNALE: IL GIUDICE LO AMMETTE LO STESSO IN AULA
SULMONA – Un lungo viaggio, un dress code ignorato e una decisione fuori dal protocollo hanno dato vita a una singolare vicenda giudiziaria al tribunale di Sulmona. Protagonista un uomo convocato come testimone in un processo penale, che si è presentato all’ingresso del palazzo di giustizia in tenuta estiva: pantaloncini corti e scarpe rosse da tennis. Una scelta che ha infranto il regolamento di decoro in vigore già dalla scorsa estate e che gli è quasi costata l’esclusione dall’aula.

Appena giunto in tribunale – dopo sette ore di viaggio – il testimone è stato fermato dagli addetti alla sicurezza, in applicazione delle disposizioni impartite dalla Procura circa l’abbigliamento consentito all’interno dell’edificio giudiziario. Il regolamento parla chiaro: vietato l’accesso a chi indossa pantaloni corti sopra la caviglia, infradito, ciabatte, canottiere o altri indumenti ritenuti inadeguati al contesto giudiziario, richiamando “criteri di professionalità e decoro”.
In un primo momento l’uomo è rimasto fuori dal palazzo di giustizia, rassegnato all’idea di dover tornare indietro dopo un viaggio faticoso e senza poter adempiere al proprio dovere civico. A salvarlo dall’assurdità della situazione è stato però il giudice Irene Giamminonni, che – interpellata sulla questione – ha deciso di fare un’eccezione.
Pur riconoscendo la violazione del regolamento, il magistrato ha ammesso il testimone in aula, tenendo conto delle circostanze particolari: il lungo tragitto percorso, il ruolo fondamentale nel procedimento penale in corso, e soprattutto il fatto che l’abbigliamento, per quanto inappropriato, non era dettato da mancanza di rispetto ma da una scarsa conoscenza delle regole.
L’episodio ha suscitato curiosità e discussione tra gli operatori del diritto e il pubblico. Da una parte c’è chi sottolinea l’importanza del rispetto delle regole nei luoghi istituzionali, soprattutto in un contesto formale come quello giudiziario. Dall’altra, c’è chi plaude alla scelta del giudice, che ha privilegiato il buonsenso e l’interesse del processo rispetto alla mera applicazione burocratica di un regolamento.
Il codice di comportamento interno, emanato dalla Procura della Repubblica di Sulmona e applicato dal personale di vigilanza, stabilisce il divieto di accesso a chi indossa:
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pantaloni corti il cui margine non raggiunge la caviglia,
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ciabatte, infradito o calzature aperte,
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canottiere o magliette prive di maniche,
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abiti considerati “non consoni alla professionalità richiesta da un ambiente giudiziario”.
Le disposizioni si applicano non solo ad avvocati, imputati e funzionari, ma anche a testimoni e cittadini che accedono al tribunale
Questa vicenda, per quanto inusuale, accende un faro su un tema più ampio: il bilanciamento tra formalità e accessibilità della giustizia. Il gesto del giudice Giamminonni, che ha anteposto il senso civico alla rigidità normativa, dimostra come anche nelle aule dei tribunali, spesso percepite come fredde e intransigenti, ci sia spazio per l’umanità e la ragionevolezza.
Infradito e bermuda a parte, alla fine la giustizia ha avuto la meglio.