
FRANZ KAFKA: QUANDO IL DOLORE DIVENTA LETTERATURA IMMORTALE

Non era un bambino ribelle. Al contrario: fragile, introverso, ossessivo, trascorreva le giornate nascosto nella sua stanza, a leggere e immaginare altri mondi. Già allora sapeva che voleva scrivere. Era l’unico spazio dove si sentiva al sicuro. Ma il padre non lo vedeva di buon occhio: lo costrinse a studiare legge e a lavorare come impiegato. Kafka obbedì, ma mai smise di scrivere. La notte, spesso, era il suo rifugio.
Nel 1919, a 36 anni, trovò il coraggio di mettere su carta tutto il dolore e il rancore che provava verso suo padre. Scrisse una lunga lettera, 47 pagine, in cui cercava di spiegare cosa volesse dire crescere sotto il peso di una figura così schiacciante. Ricordava episodi umilianti, tra cui uno che lo segnò profondamente: da bambino, si alzò nel cuore della notte per bere. Il padre, furibondo, lo sollevò in braccio, lo portò fuori sul balcone e lo lasciò lì, solo, al freddo, per tutta la notte, con addosso solo il pigiama. Da quel momento, racconta Kafka, divenne ancora più obbediente. Ma dentro, qualcosa si era rotto per sempre.
La lettera non fu mai consegnata. Kafka la affidò a sua madre, chiedendole di darla al padre, ma lei glielo sconsigliò, temendo che peggiorasse tutto. E lui non ebbe mai la forza di contraddirla.
Le difficoltà emotive di Kafka non si limitavano alla famiglia. L’amore fu per lui un’altra trappola. Desiderava profondamente il contatto umano, ma la sua insicurezza e le sue ossessioni lo allontanavano da tutto e da tutti. Aveva una vita sentimentale complicata, turbata da un desiderio sessuale incontrollato che lo portò spesso a cercare rifugio nei bordelli e nella pornografia. La sua relazione più famosa fu con Felice Bauer. Si fidanzarono, si scrissero oltre 500 lettere, ma alla fine tutto si sgretolò, anche perché Kafka non si sentiva mai davvero capito.
Non si sposò mai, non ebbe figli. Era costantemente malato, afflitto da problemi respiratori, allergie e ansie profonde. Nel 1924, a soli 41 anni, la tubercolosi lo colpì alla gola, rendendogli impossibile mangiare. Passò gli ultimi giorni scrivendo, come sempre. L’ultima storia fu quella di un fenomeno da circo che rifiutava il cibo. Morì senza clamore, come aveva vissuto.
Di lui rimane una fotografia rara, in cui sorride accanto a sua sorella Ottla. È uno scatto prezioso: uno dei pochi momenti in cui Kafka, l’uomo che trasformò il dolore in letteratura, lascia intravedere la tenerezza che la vita gli aveva sempre negato.
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