
ELZEVIRI DI STORIA: QUANDO LA CHIESA PROCESSO’ UN PAPA RIESUMANDOLO POICHE’ MORTO E SEPOLTO MESI PRIMA
ROMA – Diciamolo subito: la storia del papato non è priva di momenti imbarazzanti, tuttora, ma il premio per la più macabra pagliacciata se lo aggiudica senza rivali il Sinodo del Cadavere.
Anno del Signore 897: il papa in carica, Stefano VI, decide che il suo predecessore, Formoso, non è stato solo un cattivo Papa: è stato un Papa criminale. E fin qui, vabbè, cose che capitano, in politica. Il problema è che Formoso è morto da nove mesi. E sepolto. Quindi? Quindi lo si dissotterra e lo si processa da cadavere. Proprio così, Papa Stefano VI può quasi essere considerato un anticipatore delle moderne saghe sugli zombie.
Ma come si arriva a tanto? Spoiler: per motivi che potremmo definire personali o di opportunismo.
L’Italia del IX secolo è un posto dove le cariche religiose si decidono col coltello. C’è il Papa, c’è l’Impero, ci sono i re italici, ci sono i Franchi, ci sono i Carolingi ormai alla frutta e una quantità di fazioni locali da far girare la testa. In mezzo, i vescovi badano più a far politica che a pregare. Beh, in fondo, alcune cose non cambiano molto.
Formoso, nato a Roma e uomo d’ingegno, si barcamena tra mille pressioni. Prima che lo chiediate: si chiama proprio così, non è un nickname perché ha un fisico tipo Elettra Lamborghini. Viene mandato come legato papale in Bulgaria, dove piace così tanto che vogliono tenerlo come arcivescovo. Lui rifiuta, perché vuole diventare Papa e in questo modo non potrebbe più, ma la mossa gli si ritorce contro, vanificando i suoi sforzi per avvicinare la chiesa bulgara a quella romana. Non solo, sempre nell’ambito di lotte di potere, Formoso viene addirittura scomunicato. Poi, però, al cambiare di pontefice e di direzione del vento, torna di moda e fa carriera fino a diventare Papa nel 891.
Formoso ha un problema grosso: si trova in mezzo al solito tira e molla tra papato e impero. Sostiene l’ascesa di Arnolfo di Carinzia come imperatore e si mette contro Lamperto di Spoleto, figlio della regina Ageltrude: quella volta a nomi andavano forte. Ageltrude, poi, è una che le cose se le lega al dito.
Formoso, tra una scomunica e una messa, riesce anche a incoronare Arnolfo. Ma il potere a Roma traballa come gli ascolti di un quiz con Pino Insegno. Ad Arnolfo, sul più bello, piglia un mezzo colpo e Formoso rimane a Roma con le braghe calate, in balia dei disordini popolari fomentati da Ageltrude & Friends. Morale della favola: Formoso
muore, probabilmente avvelenato, manco fossimo nella prima stagione di “Game of Thrones”.
Gli succede Bonifacio VI, uno eletto praticamente a casaccio, che però dura quindici giorni. Dopo di lui, sale al trono Stefano VI, un vescovo il cui odio per Formoso non è affievolito dal fatto non trascurabile che sia morto. Un po’ per compiacere gli amici di Spoleto Lamberto & Ageltrude, un po’ perché gli conviene – e poi vedremo il motivo – nel gennaio dell’897, Stefano VI convoca un processo pubblico, dove l’imputato è… il cadavere di Formoso.
Il poveraccio viene riesumato, rivestito degli abiti papali e legato su un trono nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Accanto a lui, un diacono deve rispondere al posto suo, come un avvocato d’ufficio per defunti. La scena è talmente surreale che persino i cronisti dell’epoca faticano a crederci.
Stefano gli rinfaccia di essere stato vescovo in due città contemporaneamente (violazione del diritto canonico), di aver mentito per ottenere il trono papale e, soprattutto, di essere stato un traditore politico. Alla fine del processo che, guarda caso, lo vede colpevole, il cadavere viene spogliato, privato delle tre dita usate per benedire e della sepoltura sacra e gettato nel Tevere.
Perché Stefano fa una sciocchezza del genere?
In realtà, ha i suoi motivi: durante il pontificato di Formoso, è stato ordinato vescovo di Anagni e quindi, per la stessa irregolarità che rinfaccia all’accusato, non potrebbe essere Papa. La procedura giudiziaria germanica, poi, nella celebrazione di un processo esige la presenza del corpus delicti, e dunque consente, in situazioni estreme, anche la presenza di un cadavere.
Il karma, però, ha un suo senso dell’umorismo
Roma, infatti, non gradisce. L’oscenità del Sinodo crea uno scandalo gigantesco. Il popolo insorge, Stefano VI viene imprigionato e giustiziato per strangolamento nell’agosto dello stesso anno.
La storia va veloce quando sei un Papa, figuriamoci se sei pure pazzo.
I suoi successori, a partire da Teodoro II, dichiarano nullo il Sinodo e riabilitano Formoso, facendo riportare il corpo – che era stato trovato a Ostia da suoi fedeli – in San Pietro, stavolta con tutti gli onori.
Formoso non trova però pace: nei successivi dieci anni, i papi si alternano nel condannare e riabilitare Formoso come fosse una partita a ping pong teologico. Alcuni confermano il Sinodo, altri lo annullano di nuovo. Fino a che la Chiesa, esausta, mette un bando ai processi post mortem. Sembra incredibile che ci voglia una legge apposta, lo so, ma quando si parla di riti religiosi l’assurdità è la regola.
Il Sinodo del Cadavere resta una delle pagine più folli della storia del papato e non solo.
*Il dipinto è: “Concilio cadaverico”, di Jean-Paul Laurens (1870), Nantes, Musée des Beaux-Arts