
L’ODIO PER LE DONNE HA UN NOME. SI CHIAMA MANOSFERA. UN FENOMENO CHE INCITA AL DISPREZZO E IN RETE UNISCE IN BRANCO MASCHILISTI SESSUALMENTE FRUSTRATI E MISOGINI
L’AQUILA – «È quella schifezza di Andrew Tate». Lo pronuncia a mezza bocca il personaggio della detective Misha Frank durante una delle scene più drammatiche della serie tv Adolescence. La battuta, in Italia, non buca lo schermo: un po’ perché segue uno scambio toccante fra un padre (il detective Luke Bascombe) e il figlio Adam, un po’ perché Tate non è così noto nel nostro Paese.
Eppure è un personaggio chiave per comprendere «la manosfera» — la comunità online dei maschi misogini di cui fanno parte gli incel, i celibi involontari che la serie ha fatto conoscere al grande pubblico — e il modo in cui abitano e muovono Internet. Trentotto anni, ex campione di kickboxing, incriminato nel Regno Unito per stupro e lesioni e indagato in Romania, Andrew Tate mette la misoginia al servizio dell’economia digitale, con successo. È un trumpiano di ferro, che ha creato un linguaggio e un sistema così performanti sulle piattaforme da aver costretto le stesse piattaforme a estrometterlo. Su TikTok aveva accumulato 11,6 miliardi di visualizzazioni sostenendo, tra le altre cose, che le donne sono proprietà degli uomini e devono «stare a casa, fare figli e preparare il caffè», e che le vittime femminili di stupro dovrebbero assumersi la loro responsabilità. Poi è stato bannato, ma ha fatto in tempo a crearsi un seguito di account video rilanciati in loop, contenuti tagliati ad arte per massimizzare le visualizzazioni. È diventato un idolo della Gen Z, uno degli influencer più seguiti dai giovani maschi negli Stati Uniti secondo Piper Sandler. Parliamo anche di ragazzini di 11 o 13 anni. Interessante come Tate si assicuri la fedeltà delle sue giovani reclute, e qui entra in campo l’economia digitale: non solo propone l’immagine del vero uomo — atletico, ricco, dominante — ma attraverso la piattaforma Hustler’s University vende corsi di marketing e criptovalute promettendo guadagni da 10 mila sterline al mese. Ha raggiunto fino a 800 mila iscritti paganti. Fa formazione, guadagna e insegna a diffondere contenuti, compresi i suoi. E dà un messaggio chiaro: odiare le donne ti rende un uomo desiderabile e di successo.
Per alcuni, proprio il successo sembra oscurare violenza e misoginia. Lo si capisce anche senza addentrarsi nella cosiddetta manosfera italiana, ma limitandosi a leggere i commenti a un post su Tate su Linkedin. Un professionista con un nome e un cognome difende l’ex kickboxer sostenendo che «spinge i ragazzi a prendersi responsabilità, lavorare sodo, mirare in alto»; che le sue frasi sono «provocazioni studiate per attirare l’attenzione, non manifesti d’odio»; che «bollare tutto come misoginia equivale a confondere l’iperbole con l’intento reale, che è la crescita personale. Definire tossico e misogino un messaggio che produce autodisciplina e risultati potrebbe essere fuorviante».
Ecco dove affondano — e trovano terreno fertile — le radici della galassia manosferica: se soffri, se ti senti inadeguato, fai come me, diventa come me, lavora su te stesso e odia. Avrai successo.
Nella manosfera, l’odio per le donne colpevoli-di-tutti-i-mali è il collante che unisce gruppi e soggetti anche molto diversi fra loro, l’elemento capace di tenere insieme gli «artisti del rimorchio» (pick-up artists) e gli incel. Tate è certamente rappresentativo di una parte della comunità, e in modo indiretto ma conseguente dei celibi involontari (involuntary celibate che abbreviato diventa «incel») e degli Mgtow (men going their own way) che rifiutano le relazioni per autodifesa dal femminismo. Perché si parla dei celibi involontari, allora, e non degli altri? Perché sono il gruppo a più alto rischio di radicalizzazione, quelli più propensi a prendere in mano la pistola e sparare, preferibilmente alle donne.
Il paradosso è che la parola «incel» è nata con un’accezione positiva. L’origine va cercata nell’Alana Involuntary Celibacy Project, un blog creato negli anni Novanta da una studentessa canadese queer per offrire uno spazio di ascolto alle persone che desideravano avere relazioni o rapporti sessuali ma non riuscivano a ottenerli. A dare origine al movimento incel per come lo conosciamo oggi — giovani uomini arrabbiati con le donne che negano loro il sesso, e quindi la felicità — è stato poi love-shy.com, creato proprio da una costola del progetto di Alana.
Abbiamo scritto che il cemento che tiene insieme i vari gruppi che compongono la manosfera è la misoginia, ma c’è di più. Tutte le frange condividono una visione del mondo e dell’universo femminile, che si concretizzano in un codice e un lessico estremamente specifici. Una lingua a sé, incomprensibile per i non adepti, che costruisce una barriera fra chi appartiene a quella galassia e chi no.
L’idea alla base di tutto è che la donna sia portata geneticamente a «ipergamare», cioè a cercare un partner di livello più alto rispetto al suo. Tutte le donne cercano lo stesso tipo di uomo, il maschio alfa dominante, mentre disdegnano i beta, remissivi, e disprezzano gli omega.
Le pillole, gli artisti del rimorchio e i lookmaxxers
Lo stereotipo dell’uomo che piace alle donne è il Chad, alto, muscoloso e sicuro di sé. Ma a influenzare le scelte femminili sono anche altri fattori, riassunti nella sigla «LMS»: look, l’estetica appunto, ma anche money (soldi) e status (prestigio sociale). Nella manosfera alle donne viene attribuito un punteggio, da 1 a 10, in base al loro «valore di mercato». Il corrispettivo femminile del Chad è la Stacy, molto attraente e inaccessibile, ma in generale tutte le appartenenti al sesso femminile sono NP: non persone.
C’è poi tutto il tema della pillola, preso in prestito da Matrix, film che Tate cita spessissimo. «Blupillato» è sinonimo di ingenuo, cieco, manipolato: hai preso la pillola blu, accetti la narrazione mainstream e credi nell’uguaglianza fra uomini e donne. All’opposto, chi ha scelto la pillola rossa vede la realtà per quello che è, ma non ha ancora perso le speranze. I lookmaxxers, per esempio, sono gli uomini che pensano di poter innalzare il loro valore di mercato attraverso la palestra o la chirurgia estetica (anche fai da te: c’è chi si rompe la mascella per renderla più squadrata e chi pratica il mewing, che consiste nel modificare la forma del viso posizionando la lingua sul palato).
C’è poi un terzo livello, la pillola nera, che corrisponde alla rinuncia: sei brutto, non farai mai sesso con una donna e non c’è nulla che tu possa fare per cambiare il tuo destino. I blackpillati sono i più pericolosi, perché convinti di non avere niente da perdere.
Il gentiluomo supremo
Sui siti incel americani si usa l’espressione «going ER»: significa fare una strage per vendicarsi dei rifiuti subiti. ER sta per Elliot Rodger, conosciuto nella manosfera come «il gentiluomo supremo». Il 23 maggio 2014 a Isla Vista, in California, Rodger uccise sei persone e ne ferì altre 14 prima di togliersi la vita.
Prima della strage il 22enne aveva inviato via mail un manifesto di 141 pagine in cui spiegava le ragioni del gesto: odio verso le donne che lo ignoravano (non aveva mai baciato una ragazza), invidia per gli uomini belli e sicuri sé, desiderio di vendetta nei confronti della società.
Isla Vista, la prima strage dichiaratamente incel, ne ha ispirate poi altre: le più gravi sono quelle di Chris Harper-Mercer (Roseburg, 2015, nove morti), Alek Minassian (Toronto, 2018, undici morti) e Jake Davison (Plymouth, 2021, cinque morti). Tutti omicidi compiuti da giovani uomini arrabbiati con le donne, direttamente o indirettamente ispirati da Rodger.