
L’AQUILA:11 MESI DI FREDDO E UNO DI FRESCO. STORIA SIMPATICA DI UN AQUILANO CHE VA ALL’ISOLA D’ELBA A FINE MAGGIO
Partire dall’Aquila e mettersi in viaggio verso il mare toscano è un’esperienza ogni volta mistica. Ti svegli la mattina, guardi fuori: 15 gradi, pioggia, nebbia, vento. L’Aquila, d’altronde, ha un suo modo tutto personale di dirti che è quasi giugno. E allora, da bravo aquilano, pensi: “Vado al mare… ma meglio attrezzarsi. Vassapè!”
E giù a riempire la macchina come se dovessi attraversare il Circolo Polare Artico: scarpe pesanti, calzettoni di lana, pile tecnico, giacca da spedizione, ombrello, giubbetto antivento, copertina per la sera, piumone per la notte. Manca solo la slitta con i cani, poi sei pronto.
Poi arrivi all’Isola d’Elba. Apri lo sportello dell’auto e ti manca l’aria. Ventisette gradi, cielo azzurro, aria tiepida, il profumo del mare. Gente in costume, in bici, con la pelle già abbronzata da settimane. E tu, vestito come Reinhold Messner, realizzi che bastava un costumino e un telo mare.
Perché noi siamo così. Aquilani, gente di montagna. Gente che diffida della luce, che si fida solo del freddo. Siamo quelli che pensano sempre: “E se poi cambia il tempo?” Quelli che mettono la prudenza nella borsa, prima ancora del necessario.
Ma forse è proprio questo il bello. Portarsi dietro un po’ della propria terra, anche quando si va lontano. Perché in fondo, il viaggio non è mai solo una questione di chilometri. È un modo per scoprire quanto siamo legati al nostro modo di vedere il mondo. Anche quando ci fa sudare sotto un piumone, in riva al mare.