
“GAZA È LA MIA PATRIA”: DA SULMONA UN GRIDO CHE SPEZZA IL SILENZIO
di Claudio Lattanzio – In un tempo in cui l’assuefazione alla tragedia rischia di trasformarsi in indifferenza, Sulmona ha saputo rompere il silenzio con parole e gesti potenti. Lo ha fatto da Piazza XX Settembre, cuore simbolico della città, dove una manifestazione promossa da Alleanza Verdi e Sinistra — senza sigle di partito, senza bandiere di appartenenza, solo con i colori della pace e della Palestina — ha scelto di dare voce a chi oggi non ha più voce: il popolo palestinese.
Il titolo scelto per l’iniziativa, “Gaza è la mia patria”, è molto più di uno slogan. È una dichiarazione di empatia radicale, di identità condivisa. È un messaggio che unisce la memoria classica di Ovidio, costretto all’esilio da un potere imperiale, con il presente drammatico di un popolo che sta conoscendo l’esilio, la distruzione e il lutto su scala inimmaginabile. A Sulmona, patria ovidiana per eccellenza, quel riferimento non è casuale. Qui, dove la parola “patria” porta con sé secoli di significato culturale e umano, l’idea che Gaza possa esserlo per chiunque abbia a cuore la giustizia, diventa gesto politico e morale.
La manifestazione ha parlato più con le immagini che con gli slogan. Gli indumenti infantili sparsi a terra, i giocattoli abbandonati, il lenzuolo insanguinato con sotto i corpi invisibili dei bambini, la lunga striscia rossa simbolo del sangue versato, le sagome ispirate a Guernica, e infine quella figura distesa lungo Corso Ovidio, immobile sotto la bandiera palestinese: sono tutti frammenti di una performance collettiva che ha voluto fare del dolore un linguaggio universale. Un modo per dire che ciò che accade a Gaza non è “lontano”, non è “altro”: è dentro la nostra umanità. O, almeno, dovrebbe esserlo.
Gli interventi, le poesie lette, i canti contro la guerra: tutto è stato teso a una riflessione più che a una mera protesta. E questa è forse la parte più preziosa di quanto accaduto: in una stagione in cui le piazze spesso si polarizzano e urlano, a Sulmona si è scelto di pensare, di ricordare, di sentire. Di guardare negli occhi, almeno simbolicamente, le vittime.
È facile liquidare manifestazioni come questa come “retorica”. È più difficile invece ammettere che servono, che sono necessarie. Perché un’opinione pubblica anestetizzata è terreno fertile per ogni forma di complicità silenziosa. E oggi, nel mezzo di quella che molti osservatori internazionali definiscono come una catastrofe umanitaria, scegliere da che parte stare è una responsabilità che nessuno può più rinviare.
L’appello finale, quello di esporre un lenzuolo bianco il 24 maggio da ogni finestra e balcone, è semplice ma potente. Un piccolo segno per dire: “Io vedo, io sento, io non mi giro dall’altra parte”.
Da Sulmona è arrivato un messaggio chiaro: l’empatia è ancora possibile. E finché ci sarà qualcuno disposto a dire “Gaza è la mia patria”, il buio dell’orrore non avrà mai l’ultima parola.