In EvidenzaL'Aquila Capoluogo

I RACCONTI DI MAMMA ANGELINA: UNA SPLENDIDA TESTIMONIANZA DI CONCEZIO SALVI SUL MONDO ANTICO DI MONTEREALE

di Concezio Salvi 
GABBIA DI MONTEREALE – E’ una vera storia cajana quella che leggerete nelle prossime righe, avevo sei anni quando mia madre, una sera, davanti al camino, la raccontò. Il giorno dopo dovevo andare a scuola, il mio primo giorno di scuola, ma non volevo, assolutamente non volevo; lei cercò di rabbonirmi, mi disse che tutti gli insegnanti erano persone speciali, straordinarie, e che da loro avrei imparato le cose: avrei letto da solo quello stupendo racconto dell’avo Barò e poi sarei stato capace di scrivere, e non solo racconti appresi da altre persone, ma anche quelli che lei, ogni sera, mi avrebbe narrato se, nello studio, mi fossi impegnato, e, alla fine anch’io, incredibile sogno, avrei inventato e scritto novelle da donare ai figli e a qualche lettore. Già quella volta ascoltai, affascinato, il racconto del cappotto e della piccola Cecia, lo stesso nome di un’anziana e simpatica zia che qualche volta facevo arrabbiare, sempre seduto sulle sue scale, quelle che in mezzo alla piazza, ogni volta, mi rammentano un mondo.
La sua era stata un famiglia felice, Rocco, il marito, una quercia d’uomo che non faceva mancare nulla alla giovane sposa e ai figlioli: il di più non lo avevano, il necessario era assicurato e altro non desideravano.
Un maledetto fulmine, precipitato all’Accareccia, uccise il compagno stravolgendole il destino: restò vedova, già orfana, con tre piccole bocche da sfamare, ma non si perse d’animo.
Quell’anno, dopo aver sistemato i suoi campi, andò sempre a giornata, fino alle stagione delle castagne; i figlioli venivano amorevolmente accuditi dalla cognata, Teresina, una santa donna, anziana e senza figli, ma il marito Pietro’, fratello maggiore di Rocco, non era proprio un sant’uomo: era arrogante e ubriacone, commerciante nelle fiere di bestiame.
Abitava in piazza, insieme ai cognati, i suoceri erano morti da tempo; la sua dote era stata una cassia con dentro il corredo, le proprietà erano andate tutte ai fratelli maschi: così andava il mondo in quei tempi!
Loritella non si era atterrita, era pratica e risoluta.
Si avvicinava l’inverno che in montagna è sempre gelido e lungo, con la neve che cade anche in aprile. La previdente mamma aveva preso il pesante cappotto del marito, e, con l’aiuto di Teresina, voleva ricavarne cappottini per i bambini; si stava consigliando con la cognata sul taglio migliore quando rientrò Pietrò, completamente ubriaco, vide il cappotto lo arraffò e lo misurò: era perfetto, gridò in faccia alla miserrima vedova che quello sembrava cucito apposta per lui e che era ideale per andarci alla fiera.
La notte quella madre disperata pianse lacrime amare, abbracciata stretta ai figlioletti, solo il crepitare dei cartocci del materasso accompagnava le sue accorate preghiere: non poteva opporsi al violento cognato, poteva soltanto raccomandarsi a San Rocco.
Pietro’, di buon mattino, tutto impettito nel nuovo acquisto, si stava recando alla fiera di Vetozza, quando lei gli gridò in faccia, con tutta la rabbia che aveva: «Se Sarrocco se troa, pozza reveni’ lu cappottu scì, ma tu, none!»
Quello si fece una grassa risata, uscì e andò in piazza, dove sarebbe partito con gli altri. Iniziava lentamente a fioccolare e nel tardo pomeriggio il tempo peggiorò, con una violenta bufera che durò sino a tardi. Quella notte, nessuno degli uomini andati alla fiera fece ritorno, e questo non allarmò più di tanto: probabilmente avevano pernottato nei centri vicini, ma al levarsi dell’astro del giorno la Caja impazzì: i paesani erano tornati, ma tre mancavano ancora all’appello. Quelli arrivati avevano trascorso la notte a Cesaproba, quelli sperduti, invece, avevano proseguito la sera, e da allora, erano spariti nel nulla. In breve tutti si attivarono: fu costituita una squadra di soccorso attrezzata alla meglio che facendosi strada, con fatica, si diresse verso il sentiero di Collemanelli, probabilmente percorso dagli scomparsi; il candido borgo sembrava un formicaio impazzito con tutti gli sguardi rivolti all’Alacaja, ma
il tempo correva e il sole stava ormai tramontando ‘nmezzu alla forchetta ‘e Collepianu.
Dalla stalla di Catolotti, dove la piccola Cecia era andata con la mamma Loritella ad accudire le bestie, si godeva di un’ottima vista su l’Alacaja; la bimba trasalì quando vide la madre crollare in ginocchio sotto la finestrella, e pregare con occhi rigonfi di lacrime, depose, allora, la sua brancatella di fieno, si avvicinò timorosa e vide che alcuni soccorritori stavano già ritornando, e uno di essi, Chioittu, precedendo gli altri, faceva ampi gesti verso la Caja, mostrando qualcosa.
«Maaa! – gridò la bambina – vejo lu cappottu de papà!».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *