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SENZA LA CULTURA DELLA MEMORIA, NON SI COSTRUISCE UN FUTURO MIGLIORE

L’AQUILA – Il tempo passa ma rimanga almeno la memoria:
“Nella chiesetta del mio villaggio è stata posta come altare la macina del frantoio per l’olio di noce, che un tempo era situato a pochi passi dalla cappella stessa. Quando guardo questo altare penso sovente agli uomini che, con la fronte imperlata di sudore, giravano la macina per ottenere quell’olio utile e benefico. E riaffiora nella mia mente un episodio della mia infanzia che non posso dimenticare..
Sbirciando verso la finestra, vidi attraverso i vetri grandi fiocchi di neve, illuminati dalla luce della cucina, turbinare nel buio per poi posarsi sul davanzale.
«Sai chi c’è ‘stasera, giù alla “pista”? »
disse mio padre rompendo cosi quella atmosfera misteriosa. «Ci dovrebbe essere zio Giuseppe!» risposi prontamente. « Papà, non mi va di restare qui: che ne diresti se andassi a dare una mano allo zio?!… » e già mi accingevo ad uscire, afferrando il berretto. Papà mi rispose con un borbottio incomprensibile, che interpretai come approvazione. « Copriti bene, fuori fa freddo! », soggiunse mia madre. Ma erano parole buttate al vento, perchè ero già fuori, sotto la neve.
Era vero, però: faceva freddo; ma la « pista » non era lontana, e la raggiunsi di corsa. Entrai dapprima nella stalla li accanto per riscaldarmi, ma non vi trovai posto, tanto era piena di donne: quelle ne avevano sempre da dire!… Mi diressi perciò verso la porticina seminascosta dal vecchio e grande salice sul quale noi bambini facevamo le nostre gare di salita, durante la buona stagione. Entrai aprendo piano la porta: era veramente il turno dello zio Giuseppe che, tutto indaffarato, non si accorse del mio arrivo. Alcuni bambini schiacciavano festosamente le noci, i cui gherigli non finivano tutti nella grande ciotola di legno al centro del tavolo.. Mi unii a loro, e presto – anche se non del tutto per merito nostro -il lavoro fu ultimato. Mentre lo zio Giuseppe, con gesti sapienti, cominciava a spargere i gherigli sulla concava pietra della « pista », alcuni uomini si apprestarono a girare la possente macina del frantoio; i ragazzi più grandi, per esibire la loro forza ai più piccoli, e per dimostrare agli adulti di essere utili e volonterosi, si diedero da fare a loro volta : e a poco a pocoi gherigli furono ridotti in poltiglia. Erano entrate intanto la zia ed una vicina, con sulla testa uno scialle per ripararsi dalla neve che ora cadeva fitta; incominciarono a preparare il fuoco con piccoli e sottili pezzi di salice i quali avrebbero emanato un calore non troppo intenso. Gli uomini travasarono in un calderone la poltiglia di gherigli raccolta con cura dalla pietra della “pista”, e lo misero al fuoco, rimestando continuamente con una grande spatola di legno. Quando lo zio, osservato attentamente il colore ed annusato il profumo, decretò che la poltiglia aveva raggiunto il giusto grado di cottura, mio cugino Luigi la versò in una bianca pezzuola di canapa ve l’avvolse e la sistemò sotto il torchio, iniziando subito la pressatura.
Noi bambini guardavamo affascinati l’olio puro colare lentamente dal torchio in un recipiente di vetro che lasciava trasparire il bel colore dorato. Doveva bastare per tutto l’anno!
Lo si usava per condire le buone pietanze che la mamma avrebbe cucinato, o come farmaco contro dolori reumatici, distorsioni, strappi muscolari…
Dopo un’ora circa lo zio trasse dal torchio il “trojet”, quello che resta. delle noci dopo la pressatura. Noi bambini ci avvicinammo aspettando di riceverne un pezzetto ancora tiepido, a ricompensa dell’aiuto, prestato col cuore, è vero, ma anche per interesse… “
Dal capolavoro “Solo le Pietre Sanno”
di Quirino Joly e Gianfranco Bini.

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