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L’ANTROPOLOGO CICCOZZI SULLA GUERRA IN PALESTINA: IMPORRE LA SOLUZIONE A DUE STATI

di Antonello Ciccozzi* 
L’AQUILA – Di fronte a questa tragedia infinita a questo punto penso che l’unica soluzione reale possibile sia una severa e massiccia missione internazionale volta a esautorare contemporaneamente tanto la destra israeliana al Governo quanto il dominio islamista di Hamas su Gaza (e la sua egemonia ideologica su quel che resta della Palestina).
Una soluzione di forza orientata verso un obiettivo chimerico: imporre dei confini ispirati a quelli della prima risoluzione ONU del 1947 (la risoluzione che gli arabi rifiutarono pensando di poter attaccare e distruggere Israele, quella da cui è partita la spirale di violenza reciproca che oggi, passando per il 7 ottobre,
è giunta al massacro di Gaza).
Bisognerebbe comminare dei confini, esercitando una pressione esterna rivolta verso entrambi i contendenti, disarmandoli.
Potrà sembrare poco poetico in un’epoca che predica abbattimenti; ma, date le attuali condizioni di inimicizia, bisognerebbe perfino affrettarsi ad alzare degli insormontabili muri reali per separare nettamente questi due popoli contagiati da una reciproca inimicizia che è sempre più degenerata in un odio insanabile.
Bisognerebbe farlo aspettando, sperando e facendo sì che nei decenni futuri si creino delle condizioni per una riconciliazione, ossia che queste condizioni si costruiscano culturalmente, educando le nuove generazioni ad abbandonare l’odio. Bisognerebbe attendere che quei muri si possano abbattere senza che la gente da essi separata ricominci a usare le pietre delle loro macerie per ammazzarsi a vicenda, di nuovo.
Date le circostanze attuali, questa soluzione sarebbe al momento altamente svantaggiosa per Israele, in quanto dovrebbe prevedere deportazioni di massa, soprattutto a partite da una decolonizzazione radicale della Cisgiordania, e quindi a partire da un’ammissione dell’indecenza delle politiche su quel territorio. Ma a ben vedere anche per Israele questo sarebbe un compromesso accettabile: oggi Israele, nel tentativo di sradicare Hamas da Gaza si sta scavando la fossa, una fossa che si sta riempiendo del sangue dei gazawi, un mare di sangue in cui una parte importante del mondo islamista radicale sta aspettando di affogare gli ebrei tutti, dopo averli gettati nello stigma di “popolo genocida”.
Voglio dire che oggi quest’utopia è l’unica soluzione in grado di evitare un doppio rischio di genocidio che si profila sempre più concretamente all’orizzonte. Da un lato il rischio è quello per cui il Governo israeliano, nel tentativo furibondo di estirpare Hamas da Gaza, arrivi a cifre di vittime dieci volte superiori a quelle già oggi inaccettabili. Dall’altro lato il rischio è quello per cui Israele si ritrovi in questo modo circondato da un sempre più forte sentimento collettivo di odio e sete di vendetta, piombando così in uno scenario che potrà legittimare agli occhi dei nemici che lo circondano altri cento 7 ottobre.
Questa soluzione è chimerica non solo perché Israele non vorrà rinunciare a tutti i territori che ha incamerato dopo il 1947; e non solo perché la destra israeliana dovrebbe rinunciare al suo ormai evidente proposito della pulizia etnica (di prendersi tutti, di cacciare tutti i palestinesi, anche a costo di sterminarli ben oltre le necessità di difendersi dai loro diffusi propositi di sterminio).
Non si tratta solo di cacciare l’esercito israeliano da Gaza e i coloni israeliani dalla Cisgiordania, si tratta di cacciare Hamas da Gaza e dalla Palestina e di liberare la Palestina dal ruolo – tanto occultato quanto fondamentale – di strumento della jihad globale. In merito la difficoltà risiede anche nel fatto che i potentati islamisti non vorranno rinunciare a usare i palestinesi come carne da macello nella filiera del martirio che hanno allestito da anni. Un sistema industriale che si serve del sacrificio della popolazione non tanto per liberarla quanto per preparare lo stigma con cui legittimare la distruzione di Israele. Una distruzione che è a sua volta la precondizione per la battaglia che a loro interessa di più, quella della conquista dell’Occidente, della jihad globale.
Senza parlare del fatto che la comunità internazionale pare non avere l’interesse e le energie per imporre alle parti il compromesso a due Stati. La comunità internazionale non ha né il potere di limitare il ruolo egemonico di Israele né quello di liberare la Palestina dall’assoggettamento a cui l’ha indotta l’islamismo jihadista con promessa della sua liberazione.
Ma l’alternativa a questa soluzione chimerica, quale sarebbe? Come evitare l’apocalisse in cui stiamo scivolando?
Dobbiamo fermare il sangue in Terra Santa per salvare quei popoli dalla reciproca volontà di sterminio che li ha contagiati, che ieri ha fomentato il pogrom del 7 ottobre e che oggi alimenta il massacro di Gaza. E dobbiamo farlo anche per difendere l’Occidente e il mondo dalle mire jihadiste dell’islamismo radicale che si servirà del martirio dei palestinesi come piedistallo su cui erigere una ragione storica che andrà a significare un diritto assoluto di contrappasso.
*Professore di Antropologia Culturale Università dell’Aquila 

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