GRAMMATICA ELETTORALE
di Massimo Di Paolo – Difficile essere coinvolti da una campagna elettorale che non muove le pance e non forza i pensieri. Maghi smagati li avrebbe chiamati Luigi Cancrini nel suo approccio sistemico ai problemi di comunità. Dichiarazioni narrate e recitate. Una campagna elettorale, che di città e crisi della comunità cittadina, non vuole trattare. Sembra che Sulmona sia diventata un paese dei balocchi dove basterà poco per ri–sistemare il tutto. Per ri–mettere in ordine la cameretta dove molti hanno giocato. Osservandoli bene, i “motti” elettorali la dicono lunga. Ci dicono molto dei candidati, ci dicono molto delle coalizioni, ci suggeriscono quello che potrà essere in un caso o nell’altro. Ma ci piaccia o no, il passato recente ha messo in discussione molto e ha fatto disintegrare anche quelle piccole certezze che restavano. L’enfasi su quanto è bella la nostra Sulmona, non basta più. Meglio tacere. Meglio tacere sui numerosi tentativi mancati e sulle tante promesse tradite. La marginalizzazione territoriale, lo spopolamento e quella diffusa tendenza al controllo e al potere delle piccole caste impegnate nel mantenimento delle potestà, sono i motivi ricorrenti su cui ragionare. Se volessimo trovare una costante nei diversi messaggi che si sentono dai candidati non sfuggirebbe una sorta di semplificazione nel modo di osservare quello che ci circonda e le problematiche emergenti. Un tentativo di ridurre tutto all’essenziale una sorta di banalizzazione della realtà, maghi smagati appunto, con risposte semplici a cose complesse. Certo è che si fa fatica a parlare di politica e in che termini ha ancora senso farlo. Anni di fallimenti con una incapacità diffusa a risolvere, organizzare, indirizzare, sviluppare, ordinare, progettare. Ci ricordavano che l’incertezza è la condizione ideale per sollecitare l’uomo ad esprimere le proprie possibilità. Con l’incertezza, propria di ogni cambiamento, occorre fare i conti come singoli ma anche come collettività. Decidere come farlo è una scelta anche politica. Eppure altro si sarebbe voluto in questa nuova–vecchia campagna elettorale. Le attese erano diverse. La gravità della nostra storia recente lo imponeva. Ma la visione già appare appannata. È imbarazzante ascoltare o leggere i post elettorali che preferiamo non decantare per non far torto a nessuno. Se nel Novecento si rintracciava almeno la forza delle ideologie in questa tornata sulmonese l’unico obiettivo sembra essere il consenso spicciolo e gli umori estemporanei. Pensieri deboli senza contraddittorio dove ogni posizione sembra poter convivere con il proprio contrario. A oggi: il cosa fare si dice, il come non si capisce o lo si tace.
Ricreare qualche punto di contatto tra istituzione che amministra e comunità sulmonese potrebbe essere una premessa. Per realizzarla occorrerebbe ascoltare immergendosi nelle esigenze delle persone più esposte, dei quartieri, dei gruppi poveri con bisogni complessi, per farlo forse sarebbe meglio privarsi dell’atteggiamento da radical chic e concedersi: superando la faziosità dei benestanti, l’individualismo dei fortunati, l’alterigia degli intellettuali. Dichiarando, fin da subito, le responsabilità da volere indossare per consentire alle persone di sentirsi parte di un progetto comune.
Nelle campagne elettorali si rappresenta una realtà dove vincono le soluzioni facili, gli slogan. La storia della nostra Città ci ha insegnato che quasi sempre restano promesse impossibili. L’epoca dell’immediatezza detta anche i tempi di questa ennesima campagna elettorale a Sulmona. La sinistra, ieri come oggi, deve convincere mentre la destra agisce sugli istinti. Winston Churchill disse che la democrazia resta sempre “la peggior forma di governo, a eccezione di tutte quelle sperimentate finora”. E allora a noi sulmonesi, per l’ennesima volta, il dovere di scegliere.