PROSPEROCOCCO: L’AQUILA E’ IL DISASTRO DI UNA CITTA’ CHE AGONIZZA
È facile, troppo facile oggi dire “l’avevamo detto”. L’avevamo gridato, l’avevamo scritto, l’abbiamo urlato per anni, da quando si è capito che all’Aquila si stava ricostruendo soltanto il cemento, i muri, il materiale. Ma la ricostruzione vera, quella fisica e soprattutto quella sociale, non è mai cominciata davvero. È stata ignorata, messa da parte, sacrificata. E ora ne paghiamo le conseguenze.
Questa città è stata abbandonata da chi aveva il compito di prendersene cura. E sia chiaro: non è solo una questione di destra o di sinistra. È un fallimento, un fallimento grave, concreto, amministrativo. Un fallimento delle persone che siedono oggi nei posti di comando. È un fallimento tecnico, gestionale, umano. Avevano il potere, avevano le risorse, risorse che nessun’altra città in Europa ha mai avuto per rinascere dopo un disastro. Eppure non hanno saputo o peggio, non hanno voluto usarle per il bene della collettività.
Si poteva e si doveva fare molto di più per riportare le persone a vivere il centro, per sostenere i negozi storici, per ridare un’anima a una città che è stata privata del suo cuore pulsante. Invece, si è scelto male. Si è scelto in modo cieco, arrogante, incompetente. Si è costruita un’isola pedonale completamente chiusa, senza prevedere parcheggi, senza una rete di trasporti pubblici adeguata, senza ascoltare le esigenze reali delle persone. E lo dico da persona che crede profondamente in uno spazio urbano accessibile, pedonale, accogliente. Ma così no. Così è stato uno schiaffo.
La pavimentazione? Orrenda. Un pugno nell’occhio e nel cuore. L’altro giorno ero in Piazza Duomo: più di una persona si è fermata a dirmi quanto fosse brutta, fredda, spenta. E non è solo una questione estetica. È una ferita emotiva. È un disamore che cresce. È la distanza che si allarga tra gli aquilani e la loro città. E quando una città smette di piacerti, quando smetti di riconoscerti nei suoi luoghi, è l’inizio della fine.
Il centro storico dell’Aquila non è solo un quartiere. È sempre stato il punto di riferimento, il luogo simbolico in cui tutte le frazioni, tutti i cittadini, si sono sempre riconosciuti. Era la casa comune, il cuore condiviso. E l’hanno distrutto. Per negligenza, per incapacità, per superficialità.
Oggi chi governa questa città dovrebbe avere il coraggio di guardarsi allo specchio e trarne le conseguenze. Se ha un minimo di dignità, se ha un minimo di amore per questa città, dovrebbe ammettere il fallimento e cambiare rotta subito. Subito. Perché il tempo è finito.
Si illuderanno, tra qualche mese, che l’estate porterà un po’ di gente, con qualche evento, con qualche spettacolo. Ma sarà fumo negli occhi. Poi tornerà settembre, e tornerà il vuoto. E poi ci sarà la “Capitale della Cultura”, e di nuovo si racconteranno favole. Ma la verità, la verità che si sente nei vicoli deserti, nei negozi chiusi, nelle piazze fredde, è che questa città è in agonia. E senza un cambio radicale, sarà un’agonia definitiva.
L’Aquila ha bisogno di un nuovo inizio. Di una rivoluzione culturale, amministrativa, umana. Servono visione, coraggio, amore. Servono persone competenti, presenti, radicate. Se non si trova la forza per cambiare adesso, questa città non avrà più un futuro. E allora sarà troppo tardi. E nessuno potrà dire “non lo sapevamo”.
Massimo Prosperococco
Si sono ricostruiti tutti quelli che non ne avevano bisogno e i furbi.
Adesso pianificano altri disastri amministrativi.