L’AQUILA. IL CENTRO STORICO E’ MORIBONDO E SENZA CURA
di Massimo Prosperococco
Chi ha vissuto L’Aquila prima del 2009 e la osserva oggi prova un dolore sordo, quasi fisico. La città che un tempo pulsava di vita si è trasformata in un guscio vuoto, in un palcoscenico senza attori. Le strade che riecheggiavano delle voci del mercato ambulante, degli studenti, dei passi frenetici di chi andava a lavoro, del rumore delle serrande che si alzavano ogni mattina, dell’aroma del pane caldo e dei profumi delle cucine che riempivano i vicoli la domenica, ora quelle strade, quei vicoli, quelle piazze, sono avvolte da un silenzio spettrale, rotto solo dal vento che soffia tra le impalcature molte delle quali oramai eterne.
Dove un tempo abitavano più di diecimila persone, oggi ne restano forse un terzo. Il commercio è ridotto al lumicino, molti uffici e servizi si sono trasferiti altrove, svuotando il centro della sua linfa vitale. Di giorno è un deserto, di notte una terra di nessuno, teatro di degrado, vandalismi e insicurezza. Le piazze storiche, un tempo cuore della socialità, si sono trasformate in scenari di risse e paura.
Eppure, ogni volta che si affronta questo tema, sentiamo ripetere sempre la stessa parola: rinascita. Da sedici anni, ma specialmente negli ultimi otto, a ogni conferenza stampa, a ogni evento istituzionale, a ogni anniversario, si parla di rinascita, rinascita, rinascita. Ma quale rinascita? Una città non può stare in perenne transizione, a distanza di così tanti anni la rinascita doveva già esserci stata. È ora di smettere con la retorica e ammettere che qualcosa è andato storto, che le scelte fatte non hanno funzionato, che il centro storico è stato lasciato morire mentre altri luoghi in altri territori colpiti da calamità hanno saputo ripartire davvero.
La verità è che il centro storico dell’Aquila non è morto solo per il terremoto, è stato ucciso dall’incapacità, dall’inerzia, dall’assenza di una visione politica degna di questo nome. Si poteva fare diversamente. Altrove lo hanno fatto. Matera ha trasformato i suoi Sassi in un gioiello, Bari Vecchia è rinata con politiche intelligenti, persino Taranto ha avviato progetti per ripopolare la sua Città Vecchia. L’Aquila, invece, hanno sprecato anni, occasioni e risorse enormi che non avremo mai più in futuro.
E tra le scelte più incredibili che hanno accelerato questa lenta agonia, ce n’è una che grida giustizia: non aver ricostruito scuole nuove e sicure nel centro storico. Si è deciso di spostarle altrove, rinunciando così a uno dei pilastri fondamentali della vita di una comunità. Le scuole non sono solo edifici, sono centri di aggregazione, creano relazioni, fanno nascere la rete sociale che tiene insieme un quartiere, una città. Privare il centro storico delle scuole pubbliche ha significato decretarne la fine: senza studenti, senza famiglie, senza la quotidianità che ruota attorno alla scuola, il cuore della città è stato abbandonato.
E anche per questo oggi ne paghiamo le conseguenze.
Si continua a puntare tutto sugli eventi effimeri, sulle grandi manifestazioni che per tre mesi danno l’illusione di una città viva, salvo poi lasciarla ripiombare nel nulla per i restanti nove mesi dell’anno.
Ma non basta.
Non può bastare.
Per riportare in vita il cuore della città servono scelte coraggiose e strutturali: incentivi per chi torna ad abitare in centro, sostegno reale ai piccoli commercianti, il rientro di uffici, servizi, studenti e giovani lavoratori. Serve una visione di lungo periodo, un piano concreto per ripopolare il centro e restituirgli la sua anima. Altrimenti il centro storico dell’Aquila resterà un cimitero di case vuote a cielo aperto: un luogo di pietra e memoria, ma senza vita e senza futuro.
Ricordate quella frase comparsa sui muri della città dopo il sisma? “L’Aquila è morta.” E subito dopo la risposta di qualcuno: “Zieta è morta!” Quelle parole ci fecero sorridere, ci riempirono d’orgoglio, ci diedero forza, ci fecero credere che avremmo affrontato e superato qualsiasi ostacolo.
Ma oggi la realtà è un’altra e non per colpa dei cittadini. Zieta è sopravvissuta, ma L’Aquila sta morendo di una lenta ed inesorabile agonia. E chi più di tutti avrebbe dovuto prendersene cura, l’amministrazione comunale, è rimasta a guardare, lasciando che il cuore della città si spegnesse, giorno dopo giorno.
È davvero questo il destino che passivamente vogliamo accettare?
Tutto spiegato e digerito ma chi avrà il coraggio e voglia di ricominciare ????
Manca una base amministrativa solida e sana.
Troppa avidità dei cittadini e padroni vari, perdipiu’ stimolata da politici e amministratori corrotti ed inciuccianti.
Ma perché scrivete ste stronzate?!