SOSTANZE PERFLUORALCHILICHE E POLIFLUOROALCHILICHE E L’AUMENTO DELLA MORTALITÀPER MALATTIE CARDIOVASCOLARI
A cura del dott. Maurizio Proietti – La prestigiosa rivista scientifica Epidemiologia & Prevenzione, nel numero di maggio-giugno 2024, ha dedicato un approfondimento ai PFAS con l’articolo PFAS e mortalità per malattie cardiovascolari: non conta solo l’esposizione a sostanze chimiche, ma anche l’esperienza del disastro. Lo studio, coordinato da Annibale Biggeri dell’Unità di Biostatistica, Epidemiologia e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, è stato accompagnato da un’intervista a cura di Elisa Cozzarini.
Lo studio e i risultati
Biggeri ha dimostrato una correlazione tra l’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) e l’aumento della mortalità per malattie cardiovascolari, cancro renale e testicolare nella popolazione dell’area contaminata delle province di Vicenza, Verona e Padova. Secondo il ricercatore, per studiare gli effetti nocivi dei PFAS bisogna applicare i criteri utilizzati per le sostanze cancerogene: non esiste una dose sicura, e l’unica soglia di sicurezza è il limite zero. Il riferimento principale rimane l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che valuta esclusivamente studi scientifici pubblicati, escludendo rapporti dei produttori interessati all’autorizzazione di nuove sostanze.
Alla domanda se ogni PFAS debba essere studiato singolarmente per valutarne la pericolosità, Biggeri ha risposto che, in base al principio di precauzione, la pericolosità accertata di una sostanza appartenente a una classe chimica permette di estendere il giudizio agli altri composti della stessa categoria. Inoltre, molti PFAS, una volta immessi nell’ambiente o nell’organismo, subiscono trasformazioni chimiche che li rendono difficilmente monitorabili. Un recente studio ha evidenziato la contaminazione di fiumi e laghi europei da TFA, un sottoprodotto dei PFAS, dimostrando quanto sia complesso restringere la pericolosità a singole molecole.
L’industria e l’inquinamento
Biggeri ha sottolineato che l’industria tende a sostituire sostanze pericolose con altre simili, ma appartenenti alla stessa classe chimica, spesso con rischi analoghi. I PFAS sono molecole con catene di carbonio sature di fluoro, lunghe da 4 a 12 atomi. Questa struttura le rende estremamente utili per rendere impermeabili tessuti, schiume antincendio, padelle e packaging alimentare. Tuttavia, i PFAS a catena lunga, come il PFOA, tendono ad accumularsi negli organi, ad esempio nel fegato, aumentando il rischio per la salute.
L’area contaminata e gli studi
Le autorità sanitarie hanno adottato misure per arginare il fenomeno nelle regioni più colpite, in particolare dopo il 2013, quando è stata identificata una vasta zona contaminata nelle province di Vicenza, Verona e Padova, coinvolgendo circa 150.000 abitanti in 30 comuni. Questa “area rossa” era alimentata da una falda contaminata da PFOA.
L’Istituto Superiore di Sanità ha analizzato i dati dei certificati di morte dei residenti tra il 1980 e il 2018, evidenziando che tra il 1985 (inizio della contaminazione) e il 2018 si sono verificati 51.621 decessi, contro i 47.731 attesi, con 3.890 decessi in eccesso ogni tre anni. L’aumento della mortalità è stato particolarmente evidente per malattie cardiovascolari, cancro al rene e ai testicoli.
La necessità di ulteriori studi
Biggeri ha sottolineato che per stabilire il nesso causale tra esposizione e malattia sono necessari studi comparativi su altre popolazioni, confrontando gruppi omogenei per misurare l’aumento del rischio. Ha anche evidenziato come l’accorpamento nel 1985 di tre acquedotti per 30 comuni, attingendo alla falda di Almisano contaminata, abbia permesso di trarre conclusioni statistiche vincolanti sul legame tra PFAS e patologie cardiovascolari.
La partecipazione dei cittadini nella ricerca
Biggeri ha dichiarato di aver sempre privilegiato approcci partecipativi nella ricerca, coinvolgendo per due anni le associazioni del territorio, anche se spesso in videoconferenza a causa della pandemia. Ha ribadito che la conoscenza non è limitata alle discipline scientifiche, ma è diffusa, e che la compartimentazione del sapere ostacola una visione globale. Per esempio, sebbene fosse noto il rischio cardiovascolare dei PFAS, nessuno aveva sollevato l’allarme per le concentrazioni elevate in Veneto.
Un’osservazione significativa riguarda le donne che, durante il periodo di massima contaminazione, non hanno mostrato un rischio aggiuntivo di malattie cardiovascolari in età fertile. Tuttavia, è emerso che il livello di PFAS nell’organismo femminile è correlato al numero di figli, dato che queste sostanze vengono trasferite ai neonati. Questo fenomeno era già noto oltreoceano, come documentato da un’inchiesta del New Yorker, ma in Italia è stato approfondito solo grazie allo studio condotto.
In conclusione, Biggeri ha affermato che studi condotti in collaborazione con i cittadini possono generare consapevolezza e risultati più significativi, permettendo di superare le barriere della compartimentazione della conoscenza e affrontare le emergenze sanitarie con maggiore efficacia.
Biggeri A, Stoppa G, Facciolo L et al. All-cause, cardiovascular disease and cancer mortality in the population of a large Italian area contaminated by perfluoroalkyl and polyfluoroalkyl substances (1980-2018). Environ Health 2024;23(1):42. doi: 10.1186/s12940-024-01074-2
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