L’ABRUZZO VERSO UN NUOVO REGIME

di Massimo Di Paolo – L’Abruzzo in transizione per un nuovo regime? Era questo il tema del dibattito tenuto tra amici con la veemenza e il piglio della passione. La politica resta un bel contenuto quando la si dibatte in una prospettiva storica e sociale senza parlare dei protagonisti; soprattutto quando i protagonisti hanno interpretato fortune, ruoli e tempi con miseria e poca nobiltà. Già Benedetto Croce ci ricordava che la storia è una continua transizione e che per comprenderne il senso e i significati non ci si deve impantanare in una fase o in un ristretto tempo. Giuseppe De Rita ha studiato e approfondito proprio gli elementi del cambiamento che troviamo in: Come cambia l’Italia. Discontinuità e continuismo, Edizioni E/O.  L’Abruzzo in transizione; occorrerebbe spiegarne i connotati, le caratterizzazioni e quante di queste trovano significati nelle rappresentanze politiche. Da decenni, lo scivolamento verso il meridione per qualità di servizi, ricchezza, lavoro, Scuola sta caratterizzando l’Abruzzo intero e con esso la fluidità elettorale correlata a comportamenti e improvvisazioni delle forze politiche in carica. La qualità della politica abruzzese agisce ormai da contesto permanente; con un meccanismo perverso che ha condizionato gli elettori degradando il voto rendendolo instabile, quasi uno stile di consumo. Citando Carlo Calenda “le decisioni elettorali sono passate da sfera pubblica a quella personale”; non si vota un candidato perché bravo, competente, serio, a favore del bene pubblico e ricco di un profondo senso dello Stato, ma seguendo un rispecchiamento del nostro stato d’animo in un determinato momento. La più recente transizione abruzzese porta inoltre delle caratterizzazioni proprie che hanno, di fatto, fagocitato le terre interne quelle più esposte, anche per fattori geografici e storici, alla disuguaglianza e alla povertà. L’addensamento degli interessi e delle attenzioni politiche verso la costa e verso le già grandi realtà urbane, sono state l’anima della rivisitazione territoriale dell’Abruzzo. Una visione sghemba e parziale delle cittadinanze sentenziata e formalizzata con un processo irreversibile ed evidente di impoverimento delle entroterre. Territori spezzati che fanno fatica a reagire e a costituire processi di sviluppo locale, tali da contenere quell’involuzione facilitata dall’ultima transizione che la politica abruzzese non ha ostacolato ma che ha reso scelta dominante. Negli ultimi quindici anni la Regione, come unità amministrativa e politica, si è spesa maggiormente nella funzione verticale di collegamento periferia-centro trascurando fortemente il bisogno di una solidarietà territoriale diffusa attraverso una visione di sviluppo omogeneo e differenziato per tipologie territoriali. 

E qui casca l’asino! Il territorio peligno con Sulmona in testa, non è riuscito a proporre e ad agire come incubatore di idee e di politiche evolutive; utili e necessarie per le nostre unità territoriali. Per l’ennesima volta ci si presenta senza una rappresentanza forte e unitaria alle -prossimissime- elezioni regionali. Sullo sfondo le grandi criticità: il divario territoriale per una mancata unificazione economica e di servizi, l’asfittica quanto improponibile organizzazione sanitaria non collimante con le caratterizzazioni demografiche e geografiche, il basso tasso di scolarizzazione con alti indici di analfabetismo funzionale e di ritorno. La squadra dei candidati peligni è larga e, pur se priva di divisa, qualcuno potrà farcela. Ma altri fattori di debolezza vanno considerati: le coalizioni non sono una amalgama e le forze politiche che rappresenteranno l’Abruzzo in regione avranno una debolezza programmatica all’origine ma anche una inconsistenza esecutiva. E per ultimo la rappresentanza democratica: quanti saranno ad andare alle urne? Chi verrà eletto quale rappresentanza potrà testimoniare?

Intanto la “comunicazione elettorale” spinge verso il rush finale: il centro-sinistra per ora, come spesso avviene, la fa da padrone puntando su ideali e grandi visioni; il centro-destra stravince nel controllo agendo con le regole di un regime: ogni posto un posto occupato. 

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