CONSIGLIO COMUNALE SENZA VOCE
di Massimo di Paolo –
Anche interrogando il presente resta difficile guardare la condizione politica della città nel suo insieme. Se dovessimo essere teneri e seguire una via omeopatica per prendere contezza di dove stiamo andando, poco si capirebbe. Certamente quello dell’immobilismo è lo schema che traspare all’occhio dei più attenti.
Eppure c’è stato rumore: minacce, conti da fare, divisioni, passaggi, richieste di verifica, di rimpasti. Poi, ad eccezione della migrazione del consigliere comunale Proietti, tutto fermo sostanzialmente.
È passata la Santa Pasqua: “assetto da guerra” si è detto. Bah! Di questi tempi non è piacevole e neppure opportuno usare un termine simile. Ancora di più per una cultura di centrosinistra che ha retto la sua storia, di principi e di intellettualità, con il confronto, la pacificazione, l’accoglienza, la partecipazione attiva. Forse lo si è usato con un po’ di leggerezza, con uno spunto di orgoglio o nel tentativo di aumentare il ritmo di chi è a corto di fiato. Stringendo: una sorta di chiamata alle armi, un gonfiore di petto, un eufemismo da condottiero.
È difficile iniziare un’analisi se non tentando di aumentarne le prospettive di lettura. Certo, per i significati scaramantici, si è portati ad usare il numero 3. Tre letture differenti. In diverse culture il numero tre veicola significati magici, mistici e sacri. Una infinità di allegorie e di simbolismi.
Dopo oltre un anno e mezzo con i risvolti e gli accadimenti avvenuti, verrebbe da scomodare il mago Horus. Probabilmente reciterebbe: seguendo le indicazioni del destino converrebbe stare fermi e tranquilli a riflettere su ciò che non ha funzionato e riconoscere qualche colpa. Comprendere il significato dell’opposizione di Urano alleato con Mercurio e Venere. Ascoltare qualche consiglio per chiarirsi le idee e, seguendo le indicazioni del partner, guardarsi intorno.
Il Consiglio comunale appare senza voce, con dibattiti ormai al lumicino. Ben rappresenta la cronaca della politica in provincia. “C’era una volta”: cominciavano così le favole. Ma oggi, in Consiglio, non si sentono più analisi, approfondimenti, descrizioni, narrazioni della cosa pubblica sulmonese. Viene un po’ di nostalgia per “Franco e Bruno”. Interventi fiume, fatti di sangue e di passione: altri tempi, certamente, ma Sulmona respirava un po’ di gloria. Oggi l’otre si riempie di piccoli rivoli di parole: si esprime rammarico tutt’al più. Nulla si osa dire sui problemi, sui progetti, sulle azioni politiche da intraprendere. Ancora meno sulle decisioni. Forse è il segno della quadriglia, per un attimo zoppa, che ha anticipato e simboleggiato l’anatra zoppa e la politica zoppa. Lame duck: potrebbe essere. Ma noi, per “Sulmona nostra” speriamo di no.
Se invece ci fermassimo a decifrare i rumors, il detto e il non detto, sembra di stare ad assistere ad una rappresentazione di Mistero buffo, giullarata popolare, scritta da Dario Fo, premio Nobel per la letteratura 1997. Nella rappresentazione veniva usato il “grammelot” un para-linguaggio fatto da suoni ed esclamazioni che accompagnavano la mimica facciale ma non significavano nulla. Creava incredulità, attenzione verso un discorso privo di significati. Eppure è ormai chiaro che non si amministra con la maieutica o con l’artificio retorico. Serve altro. La politica al centro: la buona amministrazione subito dopo. Né Fantozzi né Batman ma squadra autorevole sì.
Non è come nella visione di un film: si segue la trama e si costruisce la storia dentro di sé. Amministrando,la storia la si costruisce con l’analisi, le decisioni, gli atti e le procedure: senza paura di “andare a casa” o di non essere all’altezza. Si costruisce assumendo responsabilità.
Durante la prima crociata i cristiani, con atto cannibalico, mangiavano le carni del nemico per terrorizzarlo. Ora il nemico non c’è, la minoranza è sedata, non c’è opposizione, l’orizzonte per attuare le promesse della campagna elettorale è libero, i sentieri aperti. Ma non sono sufficienti le cerimonie, le inaugurazioni e i barbecue.
Nonostante ciò non opterei per un assetto da guerra.
Scegliere “l’assetto da guerra” presume un “diritto alla guerra” ma non esiste una guerra giusta. Meglio la “liberazione”, delle idee, della partecipazione, delle visioni, della contaminazione dei pensieri, dell’umiltà, dell’ascolto, del lavoro intenso e operoso per amministrare la città.
Occorre fiato per lavorare come per correre. Lo si fa con l’allenamento.
La politica è fallita o corrotta.
Le amministrazioni e istituti non funzionano o vogliono funzionare.
La magistratura lenta e diseguale.
Si può solo sognare o manifestare per un avvenire pulito e giusto.
Poi ci sono i poeti che provano a spiegare ma neanche loro c’è la fanno.
Come in Francia non c’è tanta scelta ma almeno ci provano. Noi rimaniamo qui a ingoiare gli scempi presenti e passati.
Non c’è gente con abbastanza voglia di reagire poiché ormai hanno le ali spezzate da questo sistema pazzesco.
E oggi pure alla Cogesa sono tornati all’anno della pietra.
Caro giornalista continua con le poesie che l’ignoranza e l’abbandono hanno nomi e cognomi.
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