LE POLITICHE GIOVANILI? ASSENTI

di Massimo di Paolo  Un fatto. Il danno a Palazzo Sardi durante il carnevale: due “ragazzini” con spray e velleità da supereroi. Così sembra.  Vernice sui muri nuovi di un palazzo storico. Sdegno, la giusta enfasi e quel tanto di moralismo per strutturare la notizia. Lo sdegno c’è e resta. Anche le molte riflessioni forse per il muro nuovo. Qualcuno, tra i più attenti, ha colto l’occasione per riflettere sui vandalismi sistematici del sabato sera, per altri muri e per altri beni che, comunque, restano di tutti. Su cui però si tace troppo. Oculatamente si tace troppo.

Certo è che per la vernice usata sui muri da due “mascherine” di carnevale su un palazzo istituzionale il disappunto è cosa automatica e resta massimo: nessuno, tuttavia, ha di fatto rilevato le colpe degli adulti moralisti e giudici, per le mancate promesse, gli assenti progetti, le latitanze politiche sulla questione giovanile. Sulle politiche giovanili assenti, nelle nostre amministrazioni, da più di venti anni. Qualche accenno inconsistente e privo di sostanza da politici rampanti di primo pelo. Tutti ne hanno scritto: in programmi di mandato, in spettacolari presentazioni, in fatui progetti. Evidentemente con inchiostro simpatico.

Tradire, etimologicamente, significa consegnarsi al nemico. L’abbandono delle politiche giovanili con tutte le specificità e obiettivi propri, vuol dire abbandonare alla sorte formativa i più giovani, soprattutto i meno fortunati, con destini familiari non semplici, con condotte disfunzionali, con identità confuse. Vuol dire consegnare al degrado emotivo, alla mancanza di mentori, di guide, di ambienti di arricchimento. Si grida sempre in alcune occasioni: lo spray a Palazzo Sardi, le risse occasionali, il degrado della notte e della domenica mattina, la droga a scuola. 

Scudi al petto e spade tratte le risposte.

Tavoli con le forze dell’ordine, pattuglie nel centro storico. Telecamere open. Ma tradire vuol dire anche venir meno a una promessa, a un vincolo, a una responsabilità. Le promesse di attenzione per i nostri giovani, l’impegno a parlarci, ad ascoltarli, l’impegno di politiche del lavoro, di politiche scolastiche locali e territoriali, l’impegno di una rete di agenzie locali coordinate tra loro. Un tavolo pluridisciplinare in affiancamento alle amministrazioni, alle scuole, agli oratori, ai centri di aggregazione, ai gestori di attività. Una cosa seria, permanente, competente. Un progetto non si applica, si interpreta e si costruisce.

Alcune eccellenze a Sulmona, orientate ai giovani, non escludono il contrario, cioè il degrado, la noia e la solitudine. Proporre corsi o attività senza un sistema che si prenda “cura” del mondo giovanile resta un fare generico, un palliativo per lavarsi le coscienze. Agenzie che non si parlano: scuole, società sportive, centri per i diversamente abili, associazioni culturali, gestioni di strutture in affidamento. Assessorati come coordinatori, che elaborino una visione d’insieme senza enfatizzare cose fatte che appaiono pannicelli caldi rispetto al problema e agli obiettivi.

Muri imbrattati a Palazzo Sardi

Sembra proprio che Sulmona non è un paese per giovani. Molti vanno via con una sorta di brain drain (fuga di cervelli) locale, nessun dato sui Neet, sugli abbandoni scolastici, sulla percentuale di laureati sulla popolazione totale dei diplomati, nessun dato osservato sulle affluenze al Sert e al centro di igiene mentale. Una nube poco trasparente. Notiziole sporadiche e moralistiche. Occorrerebbero grida di allarme se non di dolore sul problema dei giovani. Invece si alza solo un polveroso e lugubre silenzio. Un silenzio che nasconde il disimpegno, gli arroccamenti, la saccenza dei primi della classe. Si dovrebbe partire con umiltà, prima di proporre soluzioni, riconoscendo l’esistenza del problema. In parte aggredibile con atti e scelte di coordinamento territoriale, con quello che si ha e soprattutto, con la buona politica. Riformulare il piano di zona ormai stantio e ricorsivo da anni, rigenerare le agenzie scolastiche per un modello di formazione spendibile per i più svantaggiati, la istituzione di un polo tecnico professionale mancante ed indispensabile per il territorio.  Un sistematico finanziamento ad un sistema di rete che accoglie, offre spazi, luoghi di incontro, animatori diffusi, servizi non in competizione ma in cooperazione. Iniziare da subito, dai più piccoli con gli oratori, con progetti che aprono le scuole rendendole accessibili, con maestri di strada, con attività strutturate dal basso, dai ragazzi, dalle loro rappresentanze, dalle esperienze che tornano da fuori. Il Sabato sera non solo movida. Meglio un festival in meno e un “cartellone diffuso” per i giovani. Affidamenti di servizi di animazione, spettacoli e attività per giovani, sportelli di affiancamento, orientamento e tutoraggio diffuso. Una sorta di formazione permanente con un sistema educativo in cui tutti sono coinvolti. Un civismo evoluto. Un sistema di politiche giovanili integrato afferente al: “Assessorato per le politiche giovanili” con ambiti nel sociale, istruzione, cultura e lavoro. 

Il tutto forse non sarebbe sufficiente a creare chance per lecite aspettative di ascesa sociale, ma sicuramente, potrebbe contenere le disuguaglianze esperenziali e formative, utili per la valorizzazione di sé e per la rappresentazione di un  progetto di vita.

Soprattutto un sistema. Un sistema che non lascia soli i “Capitan America e i vampiri” con le bombolette spray.  Non li lascia. Perché perfino a carnevale, soli, dinanzi a un muro bianco, sapranno pensare che quel muro è di tutti e che nel tutti, ci sono anche loro. 

Per una lettura di approfondimento “Strumenti & parole” suggerisce: Quasi di nascosto, Accento edizioni a cura di Matteo B. Bianchi