MORÌ DOPO ESSERE RIMASTO 12 ORE IN AMBULANZA, PROSCIOLTI I 4 MEDICI ACCUSATI DI OMICIDIO COLPOSO

Rimase per più di 12 ore in ambulanza poi, fu trasferito nel vecchio pronto soccorso nello spazio pre triage d’emergenza dove, poco dopo morì. Per la morte di Attilio Caranfa, 80 anni di Villalago, finirono sotto inchiesta quattro medici accusati di omicidio colposo. Si tratta del medico curante Francesca Ruta, dei medici operanti all’epoca nel servizio 118, Gabriella Ciacchi e Giovanni Liberato e del responsabile facente funzione del pronto soccorso, Michele Suffoletta, quest’ultimo difeso dall’avvocato, Piercarlo Cirilli. Ma, per il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sulmona, Marta Sarnelli, non vi fu alcuna imperizia nè negligenza da parte dei medici messi sotto inchiesta tanto da disporre l’archiviazione del caso.

Una vicenda delicata e drammatica che rimbalzò sulla cronaca nazionale visto il periodo complicato che stavano attraversando gli ospedali per via della seconda forte ondata di COVID. Ma anche il quel momento di estrema difficoltà, la corretta gestione dei protocolli non sarebbe venuta meno come si evince dalla consulenza medico-legale effettuata dall’anatomopatologo, Luigi Miccolis, che eseguì l’autopsia sul corpo di Caranfa. L’anziano era entrato in ospedale il 5 novembre per sottoporsi al tampone su indicazione del medico di base. Positivo al test antigenico avrebbe atteso il riscontro del molecolare in ambulanza per un intero pomeriggio e per parte della nottata, come previsto dalla stringente normativa delle prime ondate della pandemia. Una volta entrato nell’ex pronto soccorso sarebbe morto per arresto cardiaco. Da qui la denuncia dei familiari e l’inchiesta aperta dalla Procura che portò alla ricerca di un ospedale specializzato per svolgere l’autopsia sul paziente Covid. Operazione che durò circa una settimana. Dalle consulenze sanitarie è risultato che la morte è stata cagionata da cause naturali, ovvero dalla polmonite bilaterale interstiziale provocata dall’infezione da Coronavirus. Durante la lunga permanenza in ambulanza, per più di 12 ore, il paziente era stato affidato all’equipaggio con assistenza medica. Poi nel vecchio pre triage sottoposto all’ossigenoterapia. Nonostante l’alta pressione sull’ospedale, secondo il giudice i sanitari del pronto soccorso e del 118 si sono attenuti ai protocolli vigenti per i casi sospetti Covid come pure il medico di famiglia fornì tutte le raccomandazioni del caso al paziente. Una tragedia nell’emergenza che brucia ancora dentro a distanza di anni, per la morte dell’anziano, per le tante vittime del virus e del sistema e per le difficoltà che i medici hanno patito durante quel periodo, senza risparmiarsi mai e senza compiere, nel caso di specie, negligenze o imperizie. Da qui l’archiviazione dell’omicidio colposo e della “morte in ambulanza”.