IO E OVIDIO, INCONTRO IMPOSSIBILE

Antichi pensieri orientali recitano che gli incontri più importanti accadono all’alba o al tramonto. Non ho mai verificato la cosa ma qualche sera fa sono stato protagonista di una situazione che ancor oggi non riesco a realizzare. I ripetuti e ritmici rintocchi del sontuoso  campanone posto a sorvegliare dallo storico campanile la valle, annunciavano le ore serali della cena e nello scarno movimento di persone, in giro lungo le strade del centro in quel momento, mi ritrovai solitario nel grande giardino comunale. Se già lungo il Corso principale ampio era lo spazio per il passeggio, negli ordinati viali essi erano ancora maggiori. Prigioniero e complice di quel verde e di instancabili cani, mi godevo la frescura serale dopo le prime inattese giornate afose. Gli ultimi fanciulli irritati dal rientro, riempivano con le loro grida l’atmosfera in apparenza calma e pacata. Le vuote panchine disposte nel rigoroso ordine quasi a sfidare i cipressi di Carducci offrivano alla vista un quadro pittoresco e silenzioso. In fondo ad uno dei viali, e su una di queste, notai una figura anomala per il periodo e il l’orario. Ella vestiva una bianca tunica bordata di rosso alle estremità e nelle maniche. Indossata da un uomo possente e dalla chioma nera. Apparve al mio sguardo statico in una posizione pensierosa. Al suo fianco e in ordinata mostra, alcuni libri apparentemente di vecchia fattura. Il mio percorso mi portò inevitabilmente nei suoi pressi e solo allora, travolto da una forte emozione, lo riconobbi. A tal punto che per un attimo quasi mi mancò il respiro. Sollevò la testa e nei suoi occhi notai un forte senso di amarezza. In giro nessuno. “Come mai sei qui…non annunciando il tuo ritorno…” Gli chiesi tentando di rallentare il battito del mio cuore impazzito per l’emozione. Realizzò sul suo volto un sorriso stentato rispondendo che anche se lo avesse fatto, non avrebbe potuto divulgarne la notizia. La solitudine che quell’uomo emanava mi impose di sedermi al suo fianco facendo attenzione di spostare con delicatezza, i tomi. Avvertivo la suanecessità di parlare quasi come fosse uno sfogo e lo lasciai fare ascoltando ogni parola uscisse dalle sue labbra. Mi raccontò della Roma che visse al fianco di augusto. Lo sfarzo e gli onori. Le corti patrizie. Poi quel dramma mai compreso allora. E i giudici che ne vollero l’esilio. La grazia mai ricevuta. Scurisce il volto. E’ a conoscenza di una sorta di riabilitazione ricevuta da un processo moderno istituito a Roma. Si lamenta di quanto quel processo sia stato utile più a qualcuno dei presenti che non a lui. Una causa penale dopo duemila anni dove è stato finalmente  assolto dalle colpe che gli affibbiarono all’epoca. E che non aveva. Lo ribadisce con forza. Lo ammiro mentee fa la sua arringa. Lui che non aveva bisogno di processi e venne giudicato. Dentro se aveva sempre avuto la convinzione che l’Imperatore temesse la sua forza oratoria. Le aule di Tribunale danno visibilità. A volte più ai colpevoli che agli innocenti. Concordo con lui questa riflessione. Poi torna a ricordare quel viaggio forzato da Roma verso quella destinazione e l’esilio che lo renderanno eterno. Tra le pecore e i pastori, grida. Ma spesso meglio stare con gli animali che con certe figure che vestono abiti bianchi e pieni di macchie. Mi confida dettagli curiosi implorandomi di non rivelarli. Ha visto la sua Sulmo cambiata, trasformata. E quella statua che lo rappresenta. Non si esprime, ma comprendo il suo improvviso silenzio. Gli chiedo quale grande ferita egli si porti dentro. Il pensiero va alla sua donna e la figlia che non potè salutare e abbracciare per l’ultima volta. Mi confida che poi nei vasti campi dell’eternità si sono rivisti e lui le ha raccontato tutto ottenendo il perdono di chi sa di stere nel giusto.  Poi, avvertendo una sorta di agitazione improvvisa, si alza. Deve andare, il suo viaggio è appena iniziata e deve risolvere situazioni rimaste in sospeso. Stordito da quell’incontro, gli chiedo se potrò rivederlo ancora per saperne di più.  Allontanandosi si volta e mi dice: “…abbiamo appena iniziato…e poi ricorda…io non sono mai andato via da qui, come potrei?…” Il tramonto ruba ai miei occhi quella immensa figura chiamata Ovidio. Un Poeta con una lunga tunica bianca bordata di rosso si incammina verso Pratola Peligna. Ha dimenticato sulla panchina i suoi libri.Tornerà a riprenderli, ne sono certo. Sono trascorsi duemila anni e la rabbia per quell’ingiusto esilio ne mostra ancora i segni…

Ezio Forsano