LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA LA LEGGE REGIONALE SU PASCOLI VOLUTA DALLA LEGA

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la legge della Regione Abruzzo per l’affidamento dei terreni di pascolo. Si tratta della legge regionale 9 del 2020 che ha introdotto “Misure straordinarie e urgenti per l’economia e l’occupazione connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, voluta dalla Lega e dal suo assessore all’agricoltura, Emanuele Imprudente per stabilire la priorità dell’affidamento ai pastori locali anche per arginare il fenomeno della mafia dei pascoli. La norma, contenuta nel “Cura Abruzzo 1”, è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, contestata in quanto la materia afferente alle terre di uso civico, dove insistono quasi tutti i pascoli, è di competenza statale e non regionale. Nel mirino dei giudici innanzitutto gli articoli riguardanti le nuove regole di assegnazione: la legge della Regione infatti prevedeva che le terre a uso civico dovessero essere conferite prioritariamente a persone o società residenti nel comune (o nei comuni confinanti) in cui i terreni si trovano. Un provvedimento che aveva l’intenzione di rispondere alle richieste dei pastori e di provare a porre un argine al fenomeno della “mafia dei pascoli” e che, però, viola apertamente la riforma sugli usi civici, i principi del demanio collettivo e quelli sulla concorrenza dell’Unione Europea. Così come osservato dal Governo. “La Corte Costituzionale, con sentenza n.228/2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.9 ,comma 1, della L.R. 6 aprile 2020 n.9 ( CURABRUZZO 1) , limitatamente alla lettera c) normante l’utilizzazione pascoliva delle terre civiche”, commenta in una nota il consigliere regionale Americo Di Benedetto.“Non a caso già quando fu inspiegabilmente bocciato il mio emendamento in materia, anticipatorio di una leale collaborazione col Governo nazionale mai perseguita dalla maggioranza regionale, sollevai la probabile incostituzionalità di quanto previsto. Una vicenda, come ebbi modo di dire allora, in cui la ricerca del mero consenso prevalse sul buon senso e sull’interesse esclusivo dell’Abruzzo. E questi sono i risultati”, conclude il consigliere regionale. Come evidenziato dalla Corte – “sia prima che dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il regime civilistico dei beni civici non è mai passato nella sfera di competenza delle Regioni e i decreti del Presidente della Repubblica con cui sono state trasferite, a queste ultime, le funzioni amministrative, non consentivano nel vigore del vecchio Titolo V (né consentono oggi, nel mutato assetto costituzionale) alle Regioni di invadere, con norma legislativa, la disciplina di tali assetti fondiari collettivi, estinguendoli, modificandoli o alienandoli”. Secondo il ricorrente, la norma regionale determinerebbe, in primo luogo, una “potenziale” violazione dell’art. 2 Cost., in quanto, concretando una distorsione dell’istituto di uso civico così come disciplinato dalla legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi), il cui art. 1 riconosce i domini collettivi, comunque denominati, come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie, limiterebbe l’esercizio di un diritto fondamentale storico attribuito alla persona nell’ambito di una formazione sociale in cui si svolge la sua personalità.In secondo luogo, la norma regionale impugnata violerebbe anche l’art. 3 Cost., poiché, attraverso la predetta distorsione dell’istituto, introdurrebbe indebitamente un «regime preferenziale» per alcune categorie di utenti a scapito di altre o, in altre parole, “condizioni limitanti” a carico di taluni cittadini ed in favore di altri, in funzione dell’esercizio del diritto, non previste dalla normativa statale e in contrasto con il carattere del diritto stesso quale diritto, di uso e gestione delle terre di collettivo godimento, riconosciuto ad ogni civis “in quanto appartenente ad una determinata collettività”. In terzo luogo, la norma impugnata, non limitandosi alla disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di usi civici, ma spingendosi ad incidere sul regime della titolarità e dell’esercizio dei diritti dominicali sulle terre collettive (area di competenza legislativa esclusiva dello Stato, in quanto rientrante nella materia dell’«ordinamento civile”), si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l). Infine, ponendo delle condizioni di favore per taluni allevatori a discapito di altri, non solo in funzione dell’assegnazione delle terre civiche ma anche in funzione del pagamento del canone annuale, la norma censurata violerebbe gli artt. 101 e 102 TFUE (che prevedono il principio della parità di concorrenza tra operatori economici), nonché, per loro tramite, l’art. 117, primo comma, Cost. (che subordina l’esercizio della potestà legislativa regionale al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento eurounitario), e infine, l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la “tutela della concorrenza”.