TORNA IN LIBERTÀ IL MEDICO PAOLO LEOMBRUNI

È tornato libero Paolo Leombruni, il medico sulmonese di 52 anni, che era stato  lo scorso 22 ottobre in flagranza di reato mentre riceveva una somma di denaro da una paziente oncologica. Lo ha deciso il Gip del tribunale di Sulmona accogliendo la richiesta di revoca avanzata dal legale del medico, l’avvocato Massimo Zambelli, secondo il quale sarebbero venute meno le esigenze cautelari che giustificassero un allungamento del periodo di carcerazione preventiva per il suo assistito. L’operazione condotta dai Carabinieri del Nas di Pescara aveva portato all’arresto in flagranza di reato nel momento in cui il medico, dopo aver somministrato le cure a domicilio alla paziente, intascava 230 euro in contanti. Nel corso dell’interrogatorio, il medico si era difeso spiegando di essere stato contattato dalla donna, di aver somministrato una cura adiuvante e non salva vita, come contestato dall’accusa. Inoltre il compenso era dovuto ad una semplice prestazione professionale con partita Iva. Cosa, tra l’altro, che fanno tutti i medici non di famiglia, chiamati per una visita a domicilio o una prestazione professionale. A spingere la donna a sporgere denuncia nei confronti di Leombruni, sarebbe stato un altro medico dell’ospedale di Sulmona.  Per i carabinieri del Nas di Pescara e quindi per la Procura, si tratterebbe invece di concussione, mentre per Leombruni “di un grandissimo equivoco che sarà ampiamente chiarito già in fase di inchiesta preliminare”. Per gli effetti dell’inchiesta il medico sulmonese resta comunque sospeso dalla professione con la conseguenza che Scanno e Villalago, dove Leombruni faceva servizio,  sono tuttora senza medico di base. 

 

L’operazione condotta dai Carabinieri del Nas di Pescara aveva portato all’arresto in flagranza di reato nel momento in cui il medico, dopo aver somministrato le cure a domicilio alla paziente, intascava 230 euro in contanti. Per i militari e la Procura si tratta di concussione mentre per la difesa altro non è stato che un grandissimo equivoco. Il medico, nel corso dell’interrogatorio, si era difeso spiegando di essere stato contattato dalla donna, di aver somministrato una cura adiuvante e non salva vita, come contestato dall’accusa. Inoltre il compenso era dovuto ad una semplice prestazione professionale con partita Iva. Il quadro probatorio, che già appare ridimensionato, sarà oggetto delle successive indagini preliminari.