CIO’ CHE RIMANE DI NOI

Alessandro Lavalle – La Terra, la nostra casa, il nostro rifugio, la nostra madre: un mondo popolato da una meravigliosa varietà di specie viventi ognuna unica nel suo genere; una specie in particolare è assai controversa e complicata, capace sia delle più grandi imprese che delle più atroci malefatte, autrice di grandi opere d’arte e filosofia come anche fabbricatrice delle armi più distruttive mai viste: l’uomo.

Cosa, esattamente, ci rende questa specie così complessa?

Ogni specie sulla terra è caratterizzata dallo stesso istinto basilare: la sopravvivenza; sopravvivere attraverso il nutrirsi, il proteggersi e il riprodursi, ogni specie vivente prospera e prolifera. Ciò che ci contraddistingue dalla maggior parte delle altre specie è la nostra mente, la nostra inventiva, la nostra capacità di sopravvivere in modo creativo, di piegare le forze della natura al nostro volere: in altre parole il nostro modus operandi, unico su tutta la Terra.

Il nostro spirito, il nostro carattere – derivanti da questa inventiva – hanno donato caratteristiche uniche all’uomo che lo hanno contraddistinto come un essere sia avido e competitivo come anche compassionevole e creativo. L’uomo è stato capace di snaturare l’istinto primordiale di sopravvivenza tramutandolo in una nuova prospettiva antropica: l’uomo non vuole solo sopravvivere, l’uomo vuole vivere, vivere per lasciare il segno. L’istinto animale di prevalere sugli altri, di perpetuare la specie – regalando un falso senso di continuità – è particolarmente radicato in noi esseri umani a tal punto che si tramuta in una continua ricerca di metodi sempre più creativi per barare al “gioco della vita” e annullare una volta per tutte questa ricerca incessante: noi costruiamo, edifichiamo, dipingiamo, raccontiamo, suoniamo, combattiamo affinché il nostro retaggio rimanga vivo nei secoli a venire.

La consapevolezza della nostra fragilità, della nostra mortalità, ci spinge a migliorarci sempre, a produrre opere inimitabili per bellezza ed efficienza: questo è ciò che, a mio parere, ci rende umani. Ogni altro essere vivente lotta per vivere un altro giorno; l’uomo lotta per vivere nell’eternità. Senza accorgercene abbiamo sbloccato una forma unica nel suo genere di immortalità passiva, attraverso il nostro operato e i nostri insegnamenti: il lascito alle generazioni future è la forma più pura e semplice del concetto di vita eterna.

E’ ovvio che la lotta per sopravvivenza applicata ad una creatura così assurdamente complessa e complessata come l’uomo porta inevitabilmente allo scaturire di sentimenti assai contrastanti e autodistruttivi: siamo sempre stati una specie che idolatra la ricerca del piacere – attenzione, non il piacere in sé – sempre in competizione per le risorse, sempre impegnata a tenersi impegnata, sempre avida e agguerrita; così avida e così agguerrita che abbiamo macchiato il nostro lascito di guerre, soprusi e abusi inimmaginabili ormai divenuti stereotipo, quasi sinonimo, della parola “uomo”.

Tuttavia rimane ancora un barlume di speranza, una luce che non affievolisce e mai affievolirà: la nostra determinazione ad essere migliori.

Il ricordo che lasciamo ai posteri, il nostro retaggio: ecco ciò che l’uomo cerca disperatamente di rendere noto all’universo; nel freddo buio cosmico siamo una piccola e flebile voce che ad ogni suo grido urla “noi esistiamo, noi ci siamo, noi siamo la specie umana”. Chi guarda la nostro retaggio, specialmente il più recente, potrebbe trovare molto arduo valutare questa nostra voce come una da ascoltare con interesse- E non potrei dagli torto. Eppure siamo ancora in tempo per redimerci, per far sì che il ricordo da noi lasciato ai posteri sia un ricordo da rimembrare con fierezza. Siamo una specie forte, una specie capace di meraviglie e sono – e devono essere – queste meraviglie a caratterizzarci non le aberrazioni per cui, invece, siamo meglio noti. Il compito di cambiare le sorti di questa nostra immortalità spetta ora alla nostra generazione, spetta ora a noi riportare in auge il nome “umanità”, spetta ora a noi prendere le redini: il nostro futuro, mai come ora, è nelle nostre mani.