IL DIARIO DI SOLIMO: 26 MAGGIO 1862, STORIE DI ZETA

Fabio Maiorano – Con testamento dettato il 26 maggio 1862 – aperto il giorno della sua morte, il 25 marzo 1865 – Vincenzo Beda Mazzara, terzo marchese di torre de’ Passeri, indicò suo erede universale Panfilantonio jr, figlio del fratello Cristofaro; nella sostanza, il titolo marchionale passò per volontà testamentaria, e in palese violazione delle norme sul diritto nobiliare, a Panfilantonio jr, anziché all’erede legittimo, suo padre Cristoforo: con un’inspiegabile salto generazionale, Panfilantonio jr divenne quarto marchese di Torre de’ Passeri e trasmise il titolo al primogenito Vincenzo (quinto marchese). Il “torto” che Vincenzo Beda aveva riservato al fratello Cristoforo creò un comprensibile imbarazzo in famiglia che ben presto sfociò in aperto e insanabile contrasto tra padre e figlio, tanto che gli eredi di Panfilantonio jr – il figlio Vincenzo e suo nipote Panfilo, rispettivamente quinto e sesto marchese – coltivarono da quel momento il vezzo di abolire una zeta dal cognome. Dal canto loro, i discendenti del ramo collaterale si vollero distinguere proprio mantenendo la doppia zeta nel cognome; anzi, per evitare ogni comunanza con i “parenti
ricusati”, ripresero l’antico titolo di baroni di Schinaforte. In parole povere, è del tutto falsa la “voce” dell’esistenza di due famiglie distinte, la famiglia Mazara con “una “zeta e la famiglia Mazzara con “due zeta”. La verità è nei registri di Stato Civile del Comune di Sulmona dove non è annotato alcun provvedimento che giustifichi questa “mutazione”;
di conseguenza, l’adozione del cognome con una sola zeta, che pure si riscontra negli atti di nascita di Vincenzo (24 dicembre 1868) e di domenico (5 settembre 1874), entrambi figli di Panfilantonio jr Mazzara (con due zeta) e Maria Cattaneo, come in quello di Panfilo (nato il 22 giugno 1899 da domenico e Maria Francesca Mazzara, più nota Checchina), è un atto arbitrario e di nessun fondamento giuridico. Parimenti, vale la pena di “sfatare” l’altra leggenda sull’origine del cognome che non deriva dalla cittadina siciliana Mazara del Vallo ma, come ha sostenuto e dimostrato alla fine dell’Ottocento un famoso araldista, dalla mazzeranga o mazzeranga, in dialetto siciliano la
mazzara, vale a dire il “mazzapicchio o batti terra”, attrezzo troncoconico di legno, cerchiato di ferro (ma anche inte-
ramente di metallo) usato per costipare il terreno e assestare i selci o i sampietrini nelle costruzioni stradali, lo stesso attrezzo che figura nello stemma più antico dei Mazzara e che in araldica si raffigura per lo più come una punta di nero, presente in tutti gli stemmi parlanti di questo casato.