IL DIARIO DI SOLIMO: 19 APRILE 1987, LA MADONNA “CADE” IN PIAZZA

Fabio Maiorano – Come al solito, di prima mattina i “botti” annunciano che Cristo è risorto. La città sonnecchia ancora ma in piazza Garibaldi è tutto pronto per il tradizionale rito della “Madonna che scappa”. A mezzogiorno, balconi e terrazze traboccano di gente, la piazza ha ormai dimensioni e forme di autentico anfiteatro, il plateatico sembra un formicaio in fermento. Pasqua è il giorno del ritorno per i tanti sulmonesi divenuti “forestieri” per ragioni di lavoro o di studio; è il giorno degli auguri, dei saluti, degli abbracci; è la festa che esprime il senso della “sulmonesità”, l’orgoglio dell’appartenenza, l’evento che ogni figlio di questa terra sente più suo. Anche chi è lontano, o non può tornare, sa che a Pasqua la magia è possibile: basterà chiudere gli occhi, quando a sulmona è mezzogiorno in punto, per proiettarsi nella piazza grande e rivedere – nel “film dei ricordi” – la Madonna che vola leggera sulla testa degli spettatori, che corre a riabbracciare il figlio, tra spari di mortaretti e ghirigori di colombe bianche che annunciano la primavera, disegnando nell’aria presagi e auspici per le sorti di tutta la comunità. La piazza è in fermento, il mormorio cresce a dismisura ed esplode in accenti di gioia e meraviglia quando la porta della chiesa di S. Filippo si apre; dall’oscurità appare la Vergine Maria, esile, fragile, vestita a lutto, lo sguardo triste e assente, il cuore gonfio d’insopportabile dolore. «Cristo è risorto», le hanno ripetuto per tre volte San Pietro e San Giovanni; Maria non crede, è assalita dai dubbi; alla fine, però, quelle parole riescono a scalfire le sue ultime resistenze, ad incrinare la certezza della morte, ad alimentare la speranza di madre. Avanza lentamente, la Madonna, assecondando il passo ondeggiante e cadenzato della quadriglia di portatori; poi, all’improvviso, scorge il figlio lontano e l’attesa si fa corsa sfrenata: il manto nero cade d’incanto, mentre dodici colombe si librano nel cielo all’impazzata, tra “botti” assordanti, grida di gioia e musiche celestiali. Poi l’imprevisto, subdolo e malvagio: il portatore di destra, sul retro della statua, fatica a tenere il ritmo della corsa, sente che lo staggio gli sfugge di mano; resiste ancora ma poi abbandona la presa e cade rovinosamente a terra. La Vergine Maria, sorridente e splendida nel luminoso abito verde, s’inchina all’indietro, sobbalza pesantemente; nel contraccolpo dello staggio sul terreno, la testa si piega all’indietro ma non cede per puro miracolo. Di colpo, il gelo cala sulla piazza, la folla ammutolisce incredula: il silenzio è surreale e carico di tristezza, sul volto della gente si legge la disperazione; in molti piangono, soprattutto gli anziani che hanno avvertito il funesto presagio di quel che potrebbe accadere. Si dice che il raccolto dei campi e il destino della città dipendano dalla corsa della Madonna e dal volo degli uccelli. Retaggio di antiche credenze, memoria di calamità e disgrazie…