UN PRESENTE SENZA PENSIERI
Alessandro Lavalle – Non essendo capaci di fare esperienza di ciò che ci riserva il futuro, viviamo tutti il presente in maniera assai particolare, noi adolescenti più di tutti. Viviamo così radicalmente nel presente che lo facciamo convinti che ogni giorno sia l’ultimo, una filosofia di vita interessante, certo, ma che si rivela controproducente data la nostra giovane età: il passato non ci riguarda, il futuro chissà e quindi il presente diviene un pantano da cui non riusciamo a liberarci. Crediamo che il divenire non faccia parte delle nostre vite e che tutto vada avanti immutabile e perpetuo e proprio perché crediamo ciecamente in questo ci disperiamo ogni qual volta non riusciamo ad intravedere il cambiamento di cui tanto abbiamo bisogno. Questo delinea, oltre che una certa impazienza, una totale mancanza di prospettiva: mettere le cose in prospettiva è un metodo come un altro per relativizzare un problema, cosa da cui (e di questo ne ho fatto esperienza anche io) rifuggiamo, direi a volte giustamente. Eppure per vivere i nostri anni di spensieratezza spensieratamente necessitiamo di capire che la nostra vita è tutt’altro che statica, una problematica che non riusciamo sempre a risolvere. Un metodo per alleggerirci da questa nostra croce, sarebbe riuscire a percepire il presente per quello che, dopo tutto, è: la porta verso il futuro. La soluzione, quindi, si cela nel vedere le nostre azioni come forme di costruttivismo, come gli attrezzi che plasmano il domani nel presente facendo riacquistare quindi moto alla nostra vita: nulla è fisso o perenne, tutto è soggetto al divenire e di conseguenza mostrare apprensione per qualcosa di labile come il presente, per qualcosa che esiste veramente solo un attimo fa e che è già diventata storia nel mentre viene vissuta, è solo, a mio parere, uno spreco di tempo; il presente va dunque vissuto attimo per attimo senza soffermarsi troppo su quanti ne servano per raggiungere il domani, senza fossilizzarsi sui singoli momenti, ma viverli nella loro breve bellezza e quindi conservarne le memorie e insegnamenti come un insieme e non come singole unità (da cui nulla si può apprendere se non la coscienza della loro insignificanza). Questa perenne crisi esistenziale giovanile è in sé sia minuta e senza scopo che massiccia e devastante a causa della nostra mancanza di auto-relativizzazione, ovvero quella mancanza di passate esperienze a cui comparare l’andamento del presente: siamo troppo giovani per essere uomini e donne di mondo e contemporaneamente già troppo vecchi per sorvolare su ciò che ci passa per la testa, su ciò che ci tormenta. Non riusciamo e odiamo relativizzare perché ci manca l’esperienza personale, di conseguenza il comparare, seppur in buona fede, il nostro presente, il nostro problema, a quello di un’altra persona ci appare come un insulto che sminuisce il nostro problema invece che risolverlo: nasce così quel circolo vizioso di reclusione e supponenza quale è l’adolescenza. Sorvoliamo spesso il fatto che la vita prima di giungere alla sua fine deve necessariamente essere vissuta, una vita che nulla riserva a noi giovani se non un’infinità di sorprese e meraviglie, una vita che riserva questo e altro solo se noi abbiamo il coraggio di viverla appieno.