EQUA UGUAGLIANZA

Alessandro Lavalle – Di cosa ha veramente bisogno la gente? Quando si tratta di soddisfare le proprie necessità o quelle di un singolo si ha un’idea ben precisa su come procedere: messa in conto la consapevolezza dei nostri desideri non vi è nulla che ci impedisca di ottenere o dare quello che vogliamo.

Il problema sorge quando la domanda, che sia di servizi o che sia di informazioni, supera le due persone e si aggrava quando questo gruppo indefinito di individui desiderano quantità differenti di risorse. Data una certa limitazione delle risorse a nostra disposizione, come si può dare a tutti quello che vogliono?

Prima di tutto bisogna, a mio parere, fare un discernimento tra quello che “vogliamo” e quello di cui “abbiamo bisogno”. A volte la cupidigia annebbia la nostra mente e ci fa desiderare, come del resto è naturale e giusto, più di quello di cui abbiamo bisogno; il minimo indispensabile non fa più parte della nostra società fin dalla sua nascita: ognuno vuole tutto, ma le risorse a nostra disposizione impediscono a questa realtà di avverarsi, di conseguenza coloro che elargiscono servizi e informazioni (possiamo dire “lo Stato”) hanno ben deciso di provare a donare a tutti una parte di quel tutto indipendentemente dai propri desideri e possibilità: nasce così il principio di uguaglianza, principio a cui oggi come oggi siamo in gran parte abituati; un principio giusto nella teoria, ma che una volta applicato fa venire meno un altro principio ugualmente giusto: il principio dell’equità.

Da quando si è data prova della differenza di capacità che c’era tra un singolo e un altro, gli uomini e le donne più capaci hanno sempre cercato, in un modo o nell’altro, di accaparrarsi quante più risorse possibili in virtù del, ribadisco giusto, principio di equità; una legge semplice che garantisce una fetta di risorse a seconda del livello di capacità del singolo; una legge variabile in base al metro di capacità necessaria usato per elargire beni, una regola che cela in sé un forte risentimento da parte di quella, talvolta maggioritaria, quantità di persone ritenute “al di sotto” del minimo livello di capacità richiesto; stesso risentimento provocato dal “principio di uguaglianza” nei confronti del, talvolta minoritario, gruppo di persone veramente capaci che (come fa la sua controparte) decide infine di rassegnarsi alla verità: la sua retribuzione sarà sempre più uguale indipendentemente dalla sua capacità o impegno.

Viene però omessa, poiché richiederebbe una notevole forza di volontà, una terza legge, un principio che chiamo “il principio delle opportunità”. Ho riassunto, forse anche troppo brevemente, come sia sbagliato tanto il donare a tutti la stessa quantità di beni indipendentemente dal valore dell’individuo (cosa che porta ad un’incapacità nel cogliere le opportunità), tanto il lasciare indietro alcune persone perché ritenute dal sistema inadatte e incapaci (non degne di un opportunità).

Ed è qui che entra in gioco il principio di pari opportunità: consiste nel donare a tutti non la stessa quantità di beni bensì le stesse possibilità; indipendentemente dalle capacità individuali, ogni uomo, donna o bambino deve poter avere lo stesso gradino di partenza, provvisto di una uguale quantità di beni e servizi per tutti, dopodiché sta ad ognuno di questi individui coltivare le proprie capacità e usarle per avanzare nella scalata sociale; in questo modo non vi sarà nessun “colpevole” per la nostra immobilità o abbandono se non noi stessi.

Sia ben chiaro: questa scalata non è una sfida bensì una prova da superare insieme che, alla fine, doni a tutti un senso di soddisfazione nel sapere che quello che ognuno ha ottenuto è unicamente frutto del proprio impegno e dedizione. Non vi è giustizia né nel nascondere le opportunità ai molti né nel celare le capacità dei pochi, ma vi è giustizia nel permettere a tutti di dimostrare il proprio valore.

Sia altrettanto chiaro, però, che l’esistenza di questa apparentemente infinita serie di opportunità non deve trasformarsi in una morbosa scusa per giustificare un comportamento autodistruttivo, un alibi per evitare di mettere a frutto le proprie possibilità, che, se diffuso, ritramuterebbe il principio dell’opportunità in quello più generale dell’uguaglianza: le opportunità verrebbero quindi continuamente ripresentate a tutti indipendentemente dall’impegno profuso per ottenere una seconda chance o indipendentemente dall’impegno profuso nell’utilizzare la prima; ci si trasformerebbe quindi in un “ladro di opportunità” che, saturandone la domanda, riporterebbe ad uno sbilanciamento che la negherebbe alle persone che veramente la meriterebbero. Non mi riferisco, ovviamente al sacrosanto diritto di ognuno di noi di sbagliare e rialzarsi in piedi per continuare a marciare anche dopo aver perso un’opportunità: lo sbaglio è contemplato in quanto umano, bisogna imparare da esso tenendo a mente che l’unica vera cosa importante è guardare sempre avanti.