LA LIBERTA’ DALL’ESSERE LIBERI
Alessandro Lavalle Credo che non ci sia momento migliore per riflettere sul significato di una conseguenza sociale che noi tanto idolatriamo: il diritto alla libertà.
Non v’è dubbio che la libertà sia, come è scritto nero su bianco, uno dei diritti fondamentali
dell’uomo, un diritto che nel suo stato naturale è illimitato ed imperituro; ciò nonostante, non
appena gli uomini si raggruppano, questo diritto inviolabile subisce una immediata limitazione.
E’ una conseguenza altrettanto naturale; dopotutto come si può vivere assieme ad altri senza
rinunciare ad alcune libertà? Come già spiega egregiamente la nostra Costituzione, se la libertà di
ognuno fosse illimitata, ognuno calpesterebbe la libertà dell’altro, dunque non ci sarebbe alcuna
libertà, dunque vi sarebbe libertinaggio: un ampliamento senza regole della libertà personale che
porta ad uno stato di totale caos.
Ciononostante è altrettanto naturale pensare ad un modo per avere più libertà di altri, ad un modo
per allargare il nostro spazio di manovra ripensando a quello a cui abbiamo rinunciato appena
divenuti membri di una qualsiasi società.
Durante l’anno passato e durante (si spera non per molto) questo nuovo 2021, abbiamo rinunciato
ad alcune libertà per il benessere comune; rimarchevole gesto ma che ha inevitabilmente portato
alcuni di noi ad inasprirsi nei confronti di un governo che viola questi nostri diritti inviolabili.
Tralasciando la situazione emergenziale che, a mio parere, assolve in parte questa limitazione, è
prassi di qualsiasi forma di governo democratico liberale non generare questi diritti, poiché essi
sono già esistenti naturalmente in noi stessi, bensì arginarne la limitazione o l’abuso da cause
esterne.
Quand’è che un uomo si può definire veramente libero?
Per farla breve l’uomo non ha mai tra le sue mani il controllo completo sulla sua libertà: la società
non è altro che un patto necessario per sfuggire ad una condizione naturale di altresì anarchia; di
conseguenza la stessa coesistenza civile impone, in una maniera totalmente volontaria, una
limitazione della nostra naturale condizione di libertà assoluta. Dunque, a mio modesto parere, un
uomo si può veramente definire libero quando riesce a non danneggiare nessuno nell’esercitare la
sua libertà; se invece, come verrebbe naturalmente da dire, un uomo fosse libero quando “gli è
possibile fare quel che vuole” si ritorna al libertinaggio: nulla è più distante dalla libertà come il suo
estremo abuso; una situazione in cui, al contrario delle credenze comuni, un uomo non è libero,
bensì schiavo, oltre che degli abusi degli altri, anche delle sue stesse voglie che, senza un freno, lo
logorano dall’interno come una qualsiasi dipendenza: il poter avere tutto in realtà non ti permette di
avere niente, annulla il significato stesso dell’esistenza.
C’è una sottile linea tra l’oppressione e il libertinaggio, una “aurea mediocritas” per sentirsi liberi
ovunque e in qualunque momento; un’area grigia che soddisfa le libertà di tutti non soddisfacendo
le libertà di nessuno: un punto dove ognuno bada a che la propria libertà non calpesti quella degli
altri e viceversa. Una visione utopistica, certamente, ma l’unica che riesca a conciliare i nostri
desideri con la coabitazione sociale. In definitiva: un uomo può davvero definirsi libero solo quando
non ha da temere per la propria libertà, solo quando ha la certezza che i suoi spazi verranno
rispettati, poiché questo rispetto è universale.
Trovare la propria libertà, dunque, equivale a sentirsi soddisfatti di se stessi, ad accontentarsi di ciò
che si ha senza cadere nell’ingordigia del volere sempre di più. Chi si contenta, insomma, gode,
perché chi si contenta è libero.