DOPO 40 ANNI IL PM SCARSELLA LASCIA LA PROCURA (Video)

Una carriera durata oltre quarant’anni si è conclusa per il sostituto procuratore della Repubblica, Aura Scarsella, lo scorso 31 dicembre. Un pezzo di storia del palazzo di Giustizia, a Sulmona, che va via lasciando un vuoto che sicuramente si avvertirà nell’ambiente giudiziario.  Il magistrato Scarsella è stata testimone e protagonista delle vicende giudiziarie degli ultimi quarant’anni, vivendo anche le varie mutazioni sociali ed economiche della città che da capoluogo florido e vivo oggi mostra i segni di un declino iniziato con i primi anni Novanta dal quale non ancora riesce a risollevarsi. “Quale sensazione avverte in questo momento lasciando una professione svolta in quarantuno anni?” “Non mi hanno dato tempo di avere sensazioni. Ho presentato la domanda di dimissioni anticipate nel mese di novembre, pensavo che la risposta sarebbe arrivata nel giro di qualche mese, tenendo conto dei tempi burocratici. Invece il 30 dicembre mattina mi è stato comunicato che la mia richiesta è stata accettata. E dal 31 non esercitavo più le mie funzioni in Procura. Quindi non ho avuto il tempo di avere sensazioni. Tuttora non ce l’ho”. “E’ prematuro parlare di sensazioni ma sicuramente qualche ricordo le passa per la mente e per il cuore di questi quarantuno anni?”. “Ho dei flash, come si suol dire, il più importante mi è stato ravvivato dalla recente scomparsa dell’avvocato Attilio Cecchini. Mi ha riportato una serie di riflessioni, di pensieri e ricordi che abbiamo condiviso, in un momento molto particolare della mia professione, legati al processo Perruzza, quello satellite che si è svolto a Sulmona. All’inizio avevamo molti dubbi sull’esito del primo processo e il progredire della causa ha disvelato aspetti che andavano tutti in una direzione e bisognava arrivare finalmente ad un risultato di verità. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e alla fine si arrivò ad un risultato che secondo me meritava la revisione del processo. “La condanna di Perruzza serviva a a qualcuno o a qualcosa?” “Ho avuto l’impressione che ci si sia convinti veramente che il colpevole fosse Perruzza padre, perché l’alternativa a Perruzza padre era Perruzza figlio. E comunque secondo me non fu nemmeno un delitto ma un incidente degenerato, vedendo però come artefice Perruzza figlio. Qualora fosse stato Perruzza padre sarebbe stata tutta un’altra vicenda.Ma questa è una mia impressione”. “Quale altro processo ricorda particolarmente interessante e arduo?” “La vicenda del Morrone, la tragedia di quelle povere ragazze, che penso abbia segnato tutti quelli che ne sono venuti a conoscenza, per le conseguenze tragiche di quel fatto e avendo una figlia che all’epoca la stessa età di quelle ragazze, è stato per me difficilissimo mantenermi distaccata, non lasciare lavorare i sentimenti, è stato veramente difficile tecnicizzare il lavoro. Difficile anche per i rapporti con le famiglie coinvolte. Di certo ho avuto una lezione di vita da quella ragazza sopravvissuta, una lezione di vita che non si dimentica, perché ho visto il coraggio di quella ragazza e di come abbia avuto la forza di chiedere aiuto. Di fronte ad una tragedia del genere la sentenza di condanna dell’assassino non so fino a che punto abbia potuto alleviare la sofferenza e il dolore dei familiari”. “La sua carriera si è svolta sempre a Sulmona, ha qualche rimpianto?” “No, perché la mia è stata una scelta di vita. Ho fatto tante domande, a Vasto, Lanciano, per la procura generale di Lecce e ho avuto tutti pareri favorevoli e alla fine ho scelto di restare a Sulmona. Sono soddisfatta della mia carriera perché ho fatto quello che volevo fare nella mia vita. Sulmona mi ha dato tutto come rispetto e considerazione e se ho avuto qualche scontro è stato con persone che venivano da fuori. E’ chiaro che quando si lavora in una certa maniera a qualcuno dai fastidio, gli vai a creare qualche problema. Ricordo il mio arrivo in Procura a Sulmona, con l’allora procuratore Elio Stella che di fatto mi consegnò le chiavi dell’ufficio, dicendomi adesso fai tu. Ricordo che in quel periodo in città c’era un grandissimo problema con i rom. In effetti erano emarginati, vivevano con le loro regole ma si comportavano male, in particolare per le risse nei bar e andavano rubando per le case. Li arrestai tutti e da me venne in processione il loro capo, Nicola, con le mogli e figlie degli uomini arrestati. Accettai di incontrarlo e alla fine, io capo della procura e lui capo dei rom, arrivammo ad un patto ricevendo la promessa che da quel giorno non avrebbero dato più fastidio in città. E in effetti fu così. Da quel momento iniziò una lenta integrazione della comunità rom con il resto della città. “Quali altri processi ricorda come importanti per la città?” “Sicuramente le cause di lavoro penosissime che hanno caratterizzato gli anni Ottanta, con le vertenze Ace, Borsini, Farmochimica e Italenergie, con i lavoratori che passavano da una fabbrica all’altra, senza un piano industriale e senza un futuro certo. Gli imprenditori venivano qui, prendevano i finanziamenti, assumevano gli operai e poi chiudevano le fabbriche, lasciando lavoratori e famiglie in mezzo ad una strada. “Ora c’è spazio per un impegno eventuale anche in politica?” “Sono a disposizione come lo sono sempre stata ma soprattutto per un impegno nel sociale, rispetto ad un ruolo istituzionale. Credo che sia meglio stare fuori dalle istituzioni, perché agendo liberamente si può dare un contributo senza condizionamenti, mettendo a disposizione la mia esperienza di quarant’anni nel campo della giustizia. “Il tribunale che rischia la definitiva soppressione, come vede lei l’eventuale perdita di questo presidio di giustizia?” “E’ la cittadinanza che deve combattere, io non ho visto la gente in piazza Capograssi a sostegno del tribunale. Dove stavano e dove stanno i sulmonesi quando si parla di tribunale? Non ne capisco il motivo, se è un fenomeno generale oppure cosa. Di sicuro se si vuole salvare il tribunale bisogna fare corpo comune, cittadini, politica, informazione e l’intero territorio. Solo in questo modo facendo fronte comune si può vincere la battaglia.