PROCESSO PER MORTE CARABINIERE ANZINI, LA FIGLIA SARA: CHIEDO GIUSTIZIA, PERCHE’ PAPA’ NON MUOIA UNA SECONDA VOLTA

Sarà celebrato domani, nell’aula del Tribunale di Bergamo, l’udienza preliminare che vede imputato, per omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza, Matteo Colombi, che sulla sua Audi, nella notte tra il 16 e 17 giugno dell’anno scorso, travolse ed uccise, a Terno d’Isola (Bergamo), l’appuntato scelto dei carabinieri, Emanuele Anzini, 41 anni, sulmonese, in servizio nella stazione di Zogno. Alla vigilia del processo, con l’imputato che ha scelto il rito abbreviato, la figlia dell’appuntato, Sara ha scritto una lettera, invocando giustizia per il papà, “perché non muoia una seconda volta”, auspicando una pena esemplare “per chi ogni giorno, senza rispetto per gli altri e certo di cavarsela con poco, si mette al volante ubriaco”.

Sono Sara Anzini la figlia dell’Appuntato Scelto Emanuele Anzini. Scrivo questa lettera perché non essendo parte integrante del processo non posso esprimere ciò che sento, ma in questo modo spero che arrivi il mio dolore, la mia rabbia, il mio sentirmi privata per sempre dell’amore di mio padre e questo sempre pesa come un macigno visto che ho solo 19 anni. Noi, un po’ per scelta e un po’ per le varie vicissitudini della vita, vivevamo separati, a tanti, e ora dico troppi chilometri l’uno dall’altra, ma adesso, terminate le scuole superiori, avrei avuto più possibilità di salire da lui. Incominciavo a sentire sempre più forte il bisogno di averlo accanto a me, ma purtroppo come tutti sappiamo questo non sarà più possibile. Ho vissuto 19 anni separata da lui e adesso che avrei potuto viverlo di più non ne avrò la possibilità, tutto questo mi fa male, mi strazia il cuore, l’anima. Mi mancano le sue telefonate che aspetto ancora, ma che non arriveranno mai più. Le nostre cenette da soli. Mi mancano anche i suoi rimproveri, mi manca la sua voce, le sue risate e il non essere stati di più insieme. Ma io, anzi noi, avevamo tutto il tempo possibile davanti, tutta una vita finalmente insieme. Non avrei mai pensato che a 18 anni il mio giovane papi di soli 42 anni se ne sarebbe andato via per sempre da me. Per colpa di chi non ha avuto rispetto di sé stesso, per colpa di quel piede troppo premuto sull’acceleratore, per colpa di quel troppo alcool nel sangue, per colpa del suo «Non mi sono accorto di niente», la mia vita da quel giorno è diventata niente. Continuo ad immaginare i due fari della macchina che gli vanno incontro e i suoi bellissimi occhi che guardano per l’ultimo istante questa vita, che in una frazione di secondo si è trasformata in morte. Lui era lì a fare il suo lavoro, il suo dovere, per proteggere noi da tutto questo. Ma quella maledetta sera non è riuscito a proteggere sé stesso e la sua esperienza non è servita a salvarlo contro chi, mettendosi al volante ubriaco fradicio, se n’è fregato che poteva uccidere, distruggere, cancellare per sempre la vita di tanti. Sì, perché quella sera non è morto solo mio padre, ma è morta anche una parte del mio cuore. Quelle maledette 2.53 di una calda nottata di giugno hanno strappato via un pezzo della mia vita che purtroppo per colpa di questa persona non potrò più avere. Da quel giorno penso sempre a come sarebbe stato il nostro futuro insieme. Papi mi manca da morire non sarà con me nelle tappe più importanti della mia vita. Non potrà sgridarmi mentre sbaglio e incoraggiarmi dopo una sconfitta, gioire per i miei successi. Non potrà prendermi per mano e accompagnarmi, se un domani mi sposerò e avrò dei figli non potranno mai conoscere il loro nonno. Non potrà più essere tutto ciò che era per me. Per questo spero che la tragica fine di mio padre non passi impunita. Voglio giustizia, grido giustizia. Non devono esserci queste morti, queste disgrazie. Non auguro a nessuno di essere svegliato alle 4 del mattino dai Carabinieri che vengono a dirti che tuo padre, mentre era in servizio, è stato ucciso, vedere la foto di tuo padre senza vita sull’asfalto. Lo strazio di mia zia appena saputa la notizia e mia nonna che ogni volta che la vedo è sempre più devastata dal dolore. Mi chiedo perché noi con la morte nel cuore dobbiamo accettare che questa persona non abbia alla fine ciò che merita. Non riesco ad accettarlo. So che parlo con il cuore e non con le leggi ma forse è ora che queste leggi incomincino a fare paura, che queste persone prima di bere e mettersi al volante sappiano che non saranno graziati. C’è bisogno di leggi che diano giustizia a chi ha perso tanto, tutto e non leggi per favorire chi non le rispetta. Io voglio che mio padre non muoia una seconda volta, che chi ha distrutto la mia vita abbia una pena esemplare per chi ogni giorno, senza rispetto per gli altri e certo di cavarsela con poco, si mette al volante ubriaco. Spero che il mio grido di dolore arrivi e giustizia sia fatta: per me, per la mia famiglia, per i colleghi, per gli amici, ma soprattutto per il mio papi.