FORBICI E CORAGGIO, L’ABRUZZO E LA TABE DEL PROVINCIALISMO

Se la questione meridionale è ancora aperta, questo vale anche per la nostra letteratura. Fino ai primi decenni del Novecento, un giovane intellettuale abruzzese doveva necessariamente recarsi a Napoli (capitale del Sud Italia anche dopo la defenestrazione del Regno delle due Sicilie) per avanzare negli studi ed affermarsi professionalmente (pensiamo a Croce, o al nostro concittadino Panfilo Serafini). Come scrisse Giannangeli in apertura alla sua antologia di “Poeti dialettali peligni” (1959): «In Abruzzo, e in genere nel Mezzogiorno d’Italia, fatta eccezione per Napoli, non è esistita una capitale culturale cui potesse riguardarsi con un senso di continuità e per conseguenza una capitale linguistica». Napoli resistette almeno fino all’inizio del secolo scorso. In seguito, la “produzione” culturale si accentrò principalmente al Centro-Nord, tra Roma, Firenze, Bologna e Milano. Eppure a Lanciano operò, fino al 1950, la Casa Editrice Carabba, che si avvalse di autori e collaboratori come Giovanni Papini, Cesare De Titta e Salvatore Di Giacomo, e di esordienti d’eccezione come D’Annunzio (la seconda edizione di “Primo vere” passò per i torchi di Carabba nel 1880) e Montale (la terza edizione degli “Ossi di seppia” fu stampata a Lanciano nel 1931). Più che mai nell’ultimo dopoguerra, scrittori e intellettuali dovettero cercare oltre l’Abruzzo la loro affermazione professionale (escludendo Silone che fu anzitutto un esule politico). Nel 1957 nacque a Sulmona, su idea dei docenti Ottaviano Giannangeli e Fausto Brindesi, la rivista “Dimensioni”, che si proponeva non solo di portare il nostro dibattito culturale a livello nazionale, ma di richiamare a sé gli autori “smarriti” fuori regione. Sulle pagine del periodico scrissero narratori come Mario Pomilio (orsognese svezzato ad Avezzano ma che trovò a Teramo i suoi motivi ispiratori, e che in quel periodo insegnava a Napoli) e Laudomia Bonanni (ancora residente all’Aquila ma già alla ribalta dello Strega e del Viareggio col romanzo “L’imputata”), poeti come Vittorio Clemente (cantore bugnarese trapiantato a Roma come Ispettore scolastico, già stimato da Pasolini, Caproni e Fortini) e Giovanni Titta Rosa (che dalla provincia aquilana si ritrovò ad operare a Milano), insieme al latinista Ettore Paratore (chietino purissimo che dapprima approdò in Sicilia, da studente, e poi, come cattedratico, nella Capitale), che pure in seguito sarebbe entrato in polemica con la stessa “Dimensioni”. I più entusiastici collaboratori si dimostrarono Giammario Sgattoni, teramano, e Giuseppe Rosato, lancianese, due giovani poeti che, insieme a Giannangeli, avrebbero preso le redini della rivista fino al 1974 (anno della chiusura). Oltre alla scoperta o alla riscoperta di autori trascorsi e contemporanei, e alla valorizzazione di eventi come il bimillenario della nascita ovidiana, i tre direttori si dedicarono alla questione spinosa della statizzazione dell’università abruzzese e dell’individuazione di una città universitaria. Per “tenere insieme” l’Abruzzo, lavorò anche il giornalista Edoardo Tiboni, che resse per quasi quarant’anni la sede pescarese di Radio Rai, promosse i convegni del Centro nazionale Studi dannunziani, ideò ed organizzò il Premio internazionale “Flaiano” e la pubblicazione di libri e riviste (come “Oggi e domani”, nata quasi a ridosso della fine di “Dimensioni” e vissuta fino a qualche anno fa).  Eppure, almeno dai primi anni Duemila, la tabe provincialistica che da sempre attanaglia l’Abruzzo, una volta venuti a mancare quelli che avevano provato a ricostituirne la statura culturale, prese a sgretolare ogni forza coesiva tra i centri interni della regione. I talenti non ci sono mai mancati; l’unità sì… Proprio nel “manifesto d’intenti” che Giannangeli diffuse in vista dell’uscita del primo numero di “Dimensioni”, troviamo scritto:  «Occorre incontrarci, definire e rendere palese a tutti chi siamo, innestarci con una nostra linea nelle correnti di pensiero più avanzate. […] Vi sono coscienze probe di letterati e di artisti da far riemergere all’attenzione generale, da rivalutare, da riscoprire, da rilanciare in mezzo allo strepito assordante delle celebrazioni spesso fatue. Occorrono forbici e coraggio da opporre al mestierantismo, al gratuito professionismo in ogni campo». Purtroppo le forbici e il coraggio hanno smesso da tempo di operare… Veniamo al presente. Lo scorso anno è accaduto qualcosa di curioso. L’autore calabrese Bonifacio Vincenzi, direttore della casa editrice Macabor, ha messo in piedi una collana dal titolo “Sud – I Poeti”, esprimendo in questi termini il suo progetto editoriale: «L’impressione che i poeti del Sud Italia – a parte rarissime eccezioni – non siano molto considerati da chi questa storia contribuisce a scriverla, è ormai un dato di fatto. La sensazione, per chi questo ambiente lo conosce bene, che tutto si muova su un piano di profonda ingiustizia, è evidente. La soluzione è contribuire a creare un percorso reale, serio, onesto, umano, legandolo alla buona poesia; percorso che necessariamente dovrà partire da un territorio inesplorato dalla critica ufficiale come quello del Sud Italia». Esattamente la Questione Meridionale delle Lettere a cui si accennava all’inizio… I volumi monografici di “Sud”, dedicati a poeti attentamente selezionati, accolgono anche riflessioni critiche su autori scomparsi e su coloro che si vanno affermando. Dopo il napoletano Antonio Spagnuolo, dopo i calabresi Domenico Cara e Carlo Cipparone, Vincenzi ha voluto omaggiare l’abruzzese Giammario Sgattoni (1931-2007), lo stesso che condiresse la succitata “Dimensioni”, e che fondò il Premio “Teramo” per un racconto inedito (altro evento catalizzatore di forze nazionali, oltre che regionali), occupandosi ininterrottamente di ogni attività volta alla promozione del suo territorio (dalla poesia all’arte, dall’architettura all’archeologia). Il lavoro per questo autore è stato particolarmente impegnativo, a causa della difficile reperibilità della sua produzione poetica, che egli non volle mai riunire in volume (se si escludono due raccoltine giovanili). Ma l’opera può dirsi pienamente riuscita, grazie anche alla sezione critica, che raccoglie contributi di autori come Giannangeli, Rosato, Civitareale e Renato Parente, insieme a una splendida testimonianza del fratello del poeta, Marcello Sgattoni, membro della Deputazione abruzzese di Storia Patria. Eppure, ad oltre quattro mesi dalla pubblicazione, se si eccettua una presentazione organizzata a Campli, lo scorso 3 agosto, dall’instancabile Enrico Di Carlo, che tra l’altro ha dedicato un premio al poeta teramano (in quella Garrufo di Sant’Omero in cui Sgattoni nacque) e una breve citazione nel quotidiano teramano “La Città”, non una recensione è apparsa su questo libro. Soltanto il quotidiano pugliese “Taranto Buonasera” gli ha dedicato spazio, pur concentrandosi su due autori tarantini – che nel libro sono trattati “a latere” – quali Raffaele Carrieri e Giacinto Spagnoletti. Questo quarto volume della serie resta comunque un testo fondamentale per chiunque voglia conoscere e approfondire la figura e l’opera di un autore misconosciuto nello stesso Abruzzo, eppure tanto grande. Il quinto volume, fresco di stampa, riguarda la poetessa pugliese Claudia Ruggeri, e il sesto, già pronto, il vittoritese Pietro Civitareale, altra gloria abruzzese anche se da molti anni “in esilio” a Firenze. Grazie dunque a Bonifacio Vincenzi, a cui diamo il permesso di usare “forbici e coraggio” per andare contro il “mestierantismo” che ancora ci distingue. 

Andrea Giampietro

(Nella foto da sinistra: Giuseppe Rosato, Giammario Sgattoni e Ottaviano Giannangeli).