UNA TERZA PERSONA COINVOLTA NELL’OMICIDIO COLABRESE
Almeno un’altra persona sarebbe coinvolta nell’omicidio di Giuseppe Colabrese, il giovane di Sulmona il cui corpo straziato venne ritrovato nel bosco di Cerri, a Romito Magra, in provincia di La Spezia, in avanzato stato di decomposizione. Le tracce di sangue sulle scarpe ginniche e sugli indumenti della vittima non sarebbero compatibili con il profilo di Francesco del Monaco, il 21enne di Sulmona indagato nella vicenda per omicidio volontario. L’ipotesi di un terzo uomo coinvolto nella tragica vicenda, se confermata, porterebbe gli inquirenti se non a rivedere completamente l’intero impianto accusatorio verso il giovane sulmonese, che per adesso resta l’unico indagato, quantomeno ad allargarlo. Sebbene le analisi del Ris di Parma siano ancora in corso e un quadro più chiaro sulla perizia, molto articolata e complicata, soprattutto riguardo alle condizioni in cui è stato rinvenuto il corpo della vittima, si potrà avere soltanto quando verrà consegnata la relazione finale. D’altronde, sono stati gli stessi familiari del ventisettenne sulmonese ad avanzare sospetti sull’elemento delle scarpe da ginnastica, che appaiono fin troppo ben conservate rispetto al resto degli indumenti, come se fossero state messe a Giuseppe subito dopo l’omicidio per sviare le indagini. «Vogliamo che questo aspetto sia ulteriormente chiarito», affermano i legali della famiglia Colabrese, l’avvocato Federica Benguardato e l’avvocato Alessandro Rotolo. Dalla comparazione del Dna ci si attendeva la soluzione della vicenda, invece c’è il rischio che la storia sia destinata a complicarsi ancor di più. Come trapela da fonti investigative dopo che le altre tracce di sangue isolate sulla maglietta e sui pantaloncini che indossava Giuseppe, al momento non avrebbero dato riscontri. Tanto che il sostituto procuratore Claudia Merlino avrebbe chiesto una proroga di sei mesi per la conclusione delle indagini. Secondo la procura di La Spezia, anche dopo i risultati del Dna che scagionerebbero l’indagato, il sospettato principale dell’omicidio resta Francesco Del Monaco che potrebbe se non averlo commesso in prima persona, almeno essere stato complice di altri nell’omicidio. Il decesso di Colabrese che i periti hanno fatto risalire ai primi giorni di agosto, sarebbe dovuto a una «ferita al cranio provocata presumibilmente da un corpo contundente». I carabinieri sospettano che il giovane sia stato ucciso al suo arrivo alla Spezia dove avrebbe dovuto passare le vacanze estive in compagnia dell’amico sulmonese. I familiari di Del Monaco hanno un’abitazione a Romito Magra e il corpo senza vita di Giuseppe è stato ritrovato in un bosco poco lontano dal centro abitato. Intanto da ottobre, quando è stato scoperto che quel corpo martoriato ritrovato da un cacciatore nel bosco di Cerri apparteneva a Giuseppe, i suoi genitori aspettano di potergli dare degna sepoltura. Sono trascorsi sette mesi e la procura di La Spezia, nonostante le ripetute richieste dei legali, continuano a negare la restituzione del corpo del giovane ai familiari. L’ultima risposta negativa è venuta ieri pomeriggio, quando l’avvocato Alessandro Rotolo, ha telefonato al sostituto procuratore Claudia Merlino, esponendo la necessità e il bisogno dei genitori e dei parenti di poter piangere Giuseppe su una tomba, sentendosi rispondere che il corpo deve ancora restare a disposizione degli inquirenti per procedere ad altri esami propedeutici alla individuazione dei responsabili dell’omicidio. “È assurdo tutto ciò che sta avvenendo”, afferma l’avvocato Alessandro Rotolo, “è forse il primo caso in Italia che una procura avverta la necessità di concedersi tutto questo tempo per svolgere gli esami peritali. Non riusciamo a capire questo comportamento e nei prossimi giorni, insieme agli altri colleghi che con me si stanno occupando del caso per conto della famiglia Colabrese, inoltreremo una istanza ufficiale al procuratore di La Spezia affinché restituisca il corpo di Giuseppe alla famiglia per la celebrazione dei funerali”. Un diritto sacrosanto quello rivendicato dai genitori che, dopo aver perso un figlio in un modo così atroce, non hanno la possibilità di potergli dare una degna sepoltura.