CAPORALATO, MARCELLI “TUTELARE LA BUONA AGRICOLTURA E VALORIZZARE LA QUALITA'”

Tutelare la buona agricoltura, quella tradizionale, fatta di animali al pascolo, di piccoli produttori, valorizzare la qualità più che la quantità data per mangiare bene e sano rispettando uomini e territori.  E’ quanto torna ad evidenziare  Nunzio Marcelli, presidente dell’Associazione regionale ovicaprini Abruzzo (Arpo), accendendo i riflettori sulla questione di “un paese che non sa più riconoscere i valori del suo territorio, la qualità della sua agricoltura e allevamento, che non sa dare forza e voce a chi ogni giorno fa grande il nome dell’Italia nel mondo”. Una nota che si inserisce nel fenomeno del caporalato, contrastato fortemente dagli agricoltori, chiedendo retoricamente, alla Totò, se “siamo contadini o caporali?”. “La grande attenzione suscitata giustamente dal nuovo “caporalato” in agricoltura per il reclutamento di manovalanza sottopagata e senza diritti ha fatto esprimere già più volte diversi Ministri della Repubblica in materia” continua Marcelli “Certo, serve l’impegno alla repressione. Certo, servono i controlli. Tuttavia ci sembra che sfugga un elemento fondamentale: la tutela dell’agricoltura che serve davvero al nostro paese, l’agricoltura tradizionale, i piccoli produttori, i prodotti di qualità”.  Sottolinea Marcelli che “si sfrutta l’immagine della buona agricoltura con una pubblicità ingannevole, mentre Regioni, Stato e Comunità Europea abbandonano a se’ stesse le piccole produzioni e le filiere. Si continua a dire che si vuole la qualità, ma si temono le lobby della quantità, che continuano a dettare l’agenda”. E’ convinto il presidente Arpo che si potrebbe vincere la battaglia come Davide “contro il gigante che vuole che tutto debba essere quantità, che tutto dipenda dai grandi numeri, dalla produzione in serie, che portano al latifondo e al caporalato, appunto”, Si potrebbe fare secondo Marcelli se “l’Italia, come dovrebbe aver già fatto da tempo, e le Regioni, che gestiscono i fondi europei per l’agricoltura, si decidono ad investire davvero seriamente sui prodotti di filiera, di qualità, sulle produzioni da valorizzare, e sul certificare – seriamente – l’origine del prodotto, e garantire con marchi controllati la produzione ad emissioni zero (che esiste ed è quella che non tiene gli animali in stalla ma al pascolo, che non sparge ovunque fertilizzanti chimici ma punta su un prodotto che non è più “di nicchia”, ma oggi può raggiungere tanti mercati diversi, anche all’estero, dove sono sempre più richiesti prodotti sani e buoni, come i nostri territori sanno fare, se li sosteniamo invece di darli in pasto al mercato globale dove non possono competere).”
Spiega il presidente che “emergono sempre più realtà di società di capitali, senza nessun legame con i territori, che affittano i terreni stagionalmente per sfruttarli in modo intensivo, anche grazie alle pratiche di caporalato, e poi abbandonarli, non senza aver attinto ai fondi comunitari: realtà per le quali la predazione è fonte di grandi profitti, mentre nel mondo “Italia” vuol dire buona cucina, mangiare bene. E mangiare bene dipende, prima di tutto, dal produrre buono: buono in senso di sano, ma anche di etico, rispettoso del territorio e delle persone”