FU UN SULMONESE A SCOPRIRE PER PRIMO LO SCANDALO CALCIOSCOMMESSE

Un sulmonese, Panfilo Albertini, è stato il primo ad avvertire la Procura della Federcalcio di sospetti sul calcioscommesse e su partite truccate. Già in servizio alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, come agente dei servizi segreti e preparato investigatore della Guardia di Finanza, più tardi Albertini, con i meriti acquisiti in una lunga carriera, è stato designato 007 nel calcio. In una intervista pubblicata questa mattina dal quotidiano “La Repubblica” il sulmonese ricostruisce nei dettagli la vicenda della sua denuncia sul calcio finito nelle mani degli scommettitori. Una denuncia che però anziché far attribuire meriti ulteriori ad Albertini e al suo operato, scovando gli illeciti che inquinano il mondo del pallone, lo ha costretto a subire un provvedimento di sospensione dall’incarico. Nell’intervista Albertini ricorda il momento in cui venne contattato da un commerciante abruzzese, Massimo Erodiani, che lo informò del portiere della Cremonese, Marco Paoloni, suo debitore per una storia di scommesse. Questo primo incontro con Erodiani avvenne a fine aprile di quattro anni fa, il secondo a metà maggio. In questa occasione il commerciante si presentò con il proprio avvocato. Racconta poi Albertini di aver compiuto alcuni accertamenti e appena concluse queste prime verifiche si mise in contatto con suoi conoscenti nell’ambito dell’ufficio indagine della Federcalcio. Il procuratore federale, Stefano Palazzi, informato dei fatti, incaricò due vice procuratori di eseguire accertamenti. Ma in dieci giorni, come sottolinea Albertini, i due incaricati non fecero nulla e non venne ascoltato nemmeno Erodiani, che aveva rivelato la vicenda. Poi arrivarono gli arresti per quel caso. Ma ecco l’ingiustizia sorprendente cui viene sottoposto Albertini. Nei confronti dello 007, su iniziativa dello stesso Palazzi, è stato avviato procedimento disciplinare. L’accusa rivolta a chi ha scoperchiato la pentola in ebollizione del calcioscommesse è stata quella di aver agito attribuendosi competenze investigative spettanti solo al vertice dell’ufficio. “Resta il rammarico non del riposo forzato – conclude Albertini – ma quello di vedere calciatori sui quali indagavamo e che per la procura vendevano partite sono ancora lì”.

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