SICUREZZA SULL’ALTOPIANO 5 MIGLIA, TORNA IL DIBATTITO A UN ANNO DALLA TRAGEDIA DEL RUGBY

Torna il dibattito in città sulla sicurezza stradale lungo l’Altopiano delle Cinque Miglia, a un anno dalla tragedia in cui morirono due ragazzi di 14 e 21 anni sull’Altopiano delle Cinque Miglia, Sasà e Marco, e altri sei rimasero feriti in seguito allo schianto contro un albero del pulmino su cui viaggiavano con la squadra di rugby under 16, di ritorno a casa dopo una partita sulla neve a Roccaraso ( link2 , link3, link).  “Quanti anni dovranno ancora passare, quante mamme dovranno sopravvivere alla perdita di un figlio, quante ambulanze raccoglieranno ancora corpi violati dalla violenza degli alberi prima che qualcuno (ANAS, Comuni, Regione) si decida a tutelare la pubblica incolumità da una strada ferma al transito delle carrozze nell’800?” E’ il commento della presidente di Fabbricacultura Anna Berghella che ricorda quel triste fatto del 18 gennaio 2014 e quei drammatici giorni successivi, a cui, poi, seguirono petizioni al fine di chiedere maggiore sicurezza. E la città di spaccò tra coloro che firmavano contro la presenza degli alberi lungo la statale e coloro che ne sottolineavano l’utilità soprattutto con le forti nevicate e bufere che rendono omogeneamente bianco il panorama creando forti disagi all’automobilista. Una sicurezza precaria in entrambi i casi.
“Una data ormai tristemente legata ormai alla tragedia del pulmino del Rugby Sulmona dell’anno passato. Episodio che mi ha colpita come se contro l’albero ci fossi finita anch’io” prosegue nella nota la Berghella “È uno strazio infinito leggere sui giornali dello schianto di un’ auto contro un albero.  L’albero non perdona, è fisso, puntato a terra con le sue radici profonde, inamovibile per natura. Ha la capacità di penetrare profondamente nelle lamiere e quasi sempre non concede scampo, non risparmia nessuno , non c’è salvezza. Come non concede salvezza il dolore di chi resta: la notizia passa, il giornale di oggi servirà a pulire i vetri di domani, ma il dolore, la mancanza, il pianto di chi rimane solo, amputato negli affetti per colpa di un albero, dura e non passa; si attenuerà col tempo, tanto tempo, lasciando sempre dietro gli occhi lacrime e lacrime e nel cuore la paura di non poter sopravvivere senza quell’anima portata via da un albero. Ma poi la rabbia subentra, non sovrasta ma  si affianca al dolore quando entra in gioco il “se” e realizzi che “sarebbe bastato un guardrail “.