PIZZOLA, “ENTRATA IN GUERRA DELL’ITALIA”: COSA C’E’ DA CELEBRARE?

Riceviamo e pubblichiamo una lettera a firma del sulmonese Mario Pizzola inviata al sindaco di Sulmona in merito all’annuncio sulla “celebrazione” (come da Programma di mandato) dell’ entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. “cosa c’è da celebrare?” chiede polemico Pizzola, rimarcando il suo auspicio affinchè non si tratti di “retoriche  esaltazioni dei miti  patriottici,” ma di “occasioni importanti per riflettere sulla disumanità della guerra, di tutte le guerre”

“Nel “Programma di mandato” presentato dalla sua amministrazione, e approvato dal Consiglio comunale, tra gli altri impegni, c’è anche la partecipazione alle “ Celebrazioni che si terranno in tutto il territorio nazionale in ricorrenza dell’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale”.

Il nostro Paese entrò in guerra il 24 maggio 1915, per cui a quella data manca più di un anno e mezzo, mentre è vicina un’altra data, il 4 novembre, l’unica ricorrenza che la Repubblica nata dalla Resistenza ha eredito dal Fascismo.

Mi chiedo, e le chiedo, che cosa ci sia da celebrare nella partecipazione dell’Italia a quella che il Papa dell’epoca, Benedetto XV°, definì come “inutile strage” e “suicidio dell’Europa civile”.

Per inciso va detto che il Papa, Giacomo Della Chiesa, aveva nelle vene anche sangue sulmonese, essendo figlio di Giovanna dei marchesi Migliorati.

Poiché celebrare significa onorare ed esaltare, non può non destare sorpresa il fatto che l’amministrazione comunale intende unirsi al coro di quanti glorificarono quel “maggio radioso” e non esitarono a vedere nella tragedia che colpì il continente europeo la “grande educatrice” e perfino la “sola igiene del mondo”.

L’Italia, che all’inizio era per la neutralità, e che nel dicembre 1912 aveva addirittura rinnovato l’ alleanza con la Triplice, fu trascinata nella Grande Guerra all’insaputa del Parlamento quando il ministro degli Esteri, Sidney Sonnino, stipulò segretamente a Londra il patto con le potenze dell’Intesa. Il Paese, nella sua maggioranza non voleva la guerra, o quanto meno non la volevano le grandi masse contadine e proletarie che, senza sapere perché, furono mandate al macello. Un’intera generazione venne annientata sui campi di battaglia. I soldati italiani  uccisi furono 650.000 e per lo più si trattava di povera gente, come povera gente, nella stragrande maggioranza, erano i soldati “nemici”. Mentre il nascente capitalismo industriale faceva affari producendo armamenti, all’interno dell’uno e dell’altro fronte. Molti morirono per mezzo del “fuoco amico”, cioè per mano di quello Stato che li aveva obbligati a combattere. Enzo Forcella e Alberto Monticone, nel volume edito da Laterza, “Plotone di esecuzione”, hanno documentato la colossale repressione che colpì quanti osarono disubbidire : su circa 5 milioni e 200.000 soldati ci furono 870.000 denunce ai tribunali militari. Le condanne a morte furono 4028, quelle all’ergastolo più di 15.000. Emilio Lussu, con il suo “Un anno sull’altipiano”, ci ha lasciato una testimonianza indelebile di quella terribile esperienza.

Quella del 1915-18 fu la prima guerra “totale”, in cui nuove micidiali armi vennero usate per la prima volta. Sulla scena comparve anche l’impiego, su larga scala, dei gas come arma di sterminio. Nel vano tentativo di conquistare un fazzoletto di terreno si consumarono stragi inaudite :   a Ypres, a Verdun, sull’Isonzo, sull’altipiano di Asiago, sul Grappa e sul Piave. Chi riuscì a salvarsi dalla carneficina delle trincee, una volta tornato nella vita civile, rimarrà segnato per sempre dai devastanti  traumi psicologici della guerra. Ma essa non segnò solo il destino di milioni di famiglie : fu anche l’incubatrice dei regimi totalitari che successivamente si imposero in Europa e che poi portarono all’immane tragedia della seconda guerra mondiale. Fascismo e Nazismo sono in gran parte figli della Grande Guerra. Il giovane Benito Mussolini, che nell’autunno del 1914 abbandonava il socialismo rivoluzionario per diventare interventista, e il caporale Adolf Hitler, che  giurò di vendicare l’ “umiliazione” imposta alla Germania dal trattato di Versailles, trovarono proprio nella guerra da poco conclusa le radici del nazionalismo e del militarismo sotto le cui scarpe chiodate schiacciarono la libertà in Europa.

L’ombra nefasta della prima guerra mondiale si allungò anche sul nostro territorio, con la creazione, ad opera del regime fascista, del polo industriale-militare di Piano D’Orta, Bussi e Pratola Peligna, dove si producevano aggressivi chimici ed esplosivi. Per questo lo stabilimento della Montecatini Nobel di Pratola fu oggetto, nell’agosto del 1943, di massicci bombardamenti aerei  da parte degli Alleati che colpirono anche lo scalo ferroviario di Sulmona causando molti morti tra la popolazione civile. Perciò, signor Sindaco, torno al suo “Programma di mandato” e alla mia domanda iniziale: lei vuole celebrare tutto questo?

Mi auguro che non solo l’entrata in guerra dell’Italia, ma anche la imminente ricorrenza del 4  novembre, non siano utilizzate  per   retoriche   esaltazioni dei miti  patriottici ma siano occasioni importanti per riflettere sulla disumanità della guerra, di tutte le guerre.

Non c’è nulla da festeggiare ma, al contrario, occorre l’impegno di tutti per diffondere, nella coscienza collettiva, i valori della pace , della nonviolenza e della solidarietà tra tutti gli esseri umani e far sì che il ripudio della guerra, che i padri costituenti hanno voluto nella nostra Carta fondamentale, diventi il principio cardine su cui improntare la convivenza tra i popoli. Come esortava un grande Presidente, Sandro Pertini, c’è da “svuotare gli arsenali e riempire i granai” : convertire l’anacronistica e dispendiosa spesa militare in opere e servizi utili per i cittadini.”

 

                                                                                                                  Mario Pizzola